Interpol
Marauder

2018, Bb (Matador)
Alternative Rock, Post-rock

Gli Interpol si levano di dosso la necessità di un disco intriso di inchiostro nero, non memorabile ma molto significativo.
Recensione di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 09/10/18

Gli Interpol danzano sulla linea di quelle band un po’ impaurite dalle scelte eccessive: il loro sound a cavallo tra l’indie rock dei 2000 e le contaminazioni sonore new wave/post-punk degli ’80 ha trovato un mix inedito e del quale i ragazzi di Manhattan hanno sempre protetto la ricetta originale senza esporsi, rimanendo nel proprio porto sicuro.
 
“Marauder” non cambia direzione, ma impreziosisce il sound della band con tinte ancora più oscure e scelte radicali, “fedeli alla linea” per utilizzare metafore all’italiana. La copertina non per niente ritrae Elliot Richardson, Procuratore Generale sotto la Presidenza Nixon che durante lo scandalo Watergate preferì dimettersi piuttosto che interferire con le indagini, rifiutando la richiesta del Presidente di liberarsi dell’avvocato che stava scoprendo tutto il marcio. Un messaggio? Decisamente. 
 
"Marauder" tiene lo stesso ritmo per tutte le 11 tracce (13 con gli interludi), con poche variazioni sul tema. "The Rover” si mantiene sul robusto riff accompagnato dalla voce asciutta di Paul Banks per un brano schietto che fa il suo dovere. "Number 10" e la melodica "If You Really Love Nothing" spingono meno in questa direzione e risultano molto apprezzabili, in compenso la sensazione che si ha è che i pezzi in questione non esprimano a pieno la loro potenzialità proprio per non “venire meno a una promessa”. "Complications" non riesce a prendere il volo così come "Stay In Touch" e “NYSMAW”. Diverso il discorso per l’opener “If You Really Love Anything” che si adatta più allo stile di un tempo, grandioso e stupefacente, linea condivisa dall’ottima “Party’s over” e dalla conclusione di “It Probably Matters”. Questi ultimi in particolare sono brani che, seppur rimembrano il passato, lo riadattano alla cornice buia e amara fissata a martellate attorno all’idea di questo disco, un totem venerato che risveglia un’adorazione massima del seducente feticcio Post-punk.
 
Traccia dopo traccia “Marauder” prende sempre più le sembianze di pura impersonificazione dell’anima più oscura della band, dello Yang, del Dionisiaco. Un gigantesco mostro ombra vomitato di cui liberarsi come fosse un peso, un demone che ha bisogno di essere esposto al pubblico proprio per fargliene comprendere l’importanza e le dimensioni… E qui sta ai fan fare la propria scelta, per un disco che non risulta memorabile, ma che simbolicamente significa tantissimo per gli Interpol.





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