No Sound
Allow Yourself

2018, Kscope
Progressive Rock

Recensione di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 23/09/18

“Allow Yourself”, secondo disco dei No Sound, amplifica la vena minimalista già dimostrata con il precedente “Scintilla” per declinarla ulteriormente secondo un modello spiccatamente Radioheaddiano e degli ultimi, anzi penultimi, Coldplay. Le trame nebulose entro le quali si inseriscono progressivamente gli strumenti mostrano questa nuova direzione già da “Ego Drip”, il primo brano della tracklist, dove la voce si sovrappone a sé stessa trovando un’unità e ripetendosi progressivamente in puro stile "Kid A". La più distesa e melodica “Shelter” è più affine alle sonorità classiche della band, senza tradirsi e restando fedele a sé stessa. Allo stesso modo “Don’t You Dare” colpisce con un’estasi di synth che si ripetono interrotti solo dall’intermezzo del pianoforte che si impossessa della traccia intera, riconcedendo spazio alle tastiere solo nel caos del finale. Allo stesso modo, il piano si mostra nuovamente preponderante in “My Drug”, brano che si appropria nuovamente del modello Radiohead in maniera un troppo semplice, rischio che i No Sound corrono un po’ troppo spesso finendo per rischiare di cadere nella monotonia.
 
 
La lunga “Miracle” costituisce una parentesi sinfonica piacevolmente soft, mentre “This Night”, che ripropone lo stesso modello di cui, giunti a metà dell’ascolto, ci si rende conto che “Allow Yourself” abusi un po’.  Fortunatamente “At Peace” porta un po’ di freschezza con un’ottima performance vocale, sul modello Sigur Ròs, che si adagia perfettamente sulla batteria (stavolta non elettrica) e sull’ottimo equilibrio di piano e archi, in quella che probabilmente è la miglior parentesi di tutto il disco. La voce del frontman Giancarlo Erra è la chiave per smuovere le maree allontanando una monotonia in cui la prova del gruppo rischia più volte di affossare: ne sono un ottimo esempio “Growing In Me” e “Saviour”, con quest’ultima arricchita ulteriormente dalla pienezza sonora del violoncello.
“Weights” cambia pelle più volte nei suoi 5 minuti, con la voce che sparisce nel mezzo per ripalesarsi solo sul finale scandito dalla drum machine. L’oscurità del brano pervade l’ascoltatore che conclude l’ascolto con “Defy”, vicina al Bowie di "Blackstar" nei toni quasi funerei, in una ballad che convince anche con l’ottima conclusione delle percussioni elettroniche sul finale.
 
 
Un album che resta fedele a sé stesso senza aprirsi eccessivamente e beandosi dei suoi suoni misteriosi al limite di una ripetitività che rischia di farlo cadere. Nel complesso la prova dei No Sound ha dalla sua un suono ricco e uno “Ying-Yang” di cui abbiamo preferito il lato tinto di luce dalla voce, che si intreccia (sempre molto bene) con il pianoforte e con le melodie delle tastiere. Ma “Allow Yourself” spesso fatica a scrollarsi di dosso una certa mancanza di dinamismo. Un peccato perché la purezza del canto non basta in molti casi per evitare di cadere nello stesso cliché.






01. Ego drip
02. Shelter
03. Don't you dare
04. My drug
05. Miracle
06. This night
07. At peace
08, Growing in me
09. Saviour
10. Weights
11. Defy

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