Ted Nugent, quasi mezzo secolo di carriera alle spalle ed oltre 40 milioni di dischi venduti, torna alla carica dopo sette lunghi anni (“Love Grenade”, 2007) con il suo quattordicesimo album solista “Shutup&Jam!”. Spesso nell’occhio del ciclone per le sue idee politiche e per essere favorevole alla caccia ed alla liberalizzazione delle armi, Uncle Ted mette per un attimo tutto a tacere facendo parlare la sua musica; l’istrionico musicista americano gioca la mano a carte scoperte puntando tutte le sue fiche (leggasi “fish”, quelle da poker) sull’energia, da sempre il vero asso nella manica di The Nuge.
Imbracciata la Gibson Byrdland, Nugent imposta il pilota automatico sulla voce “Rock 'n' Roll” e scarica una serie di brani adrenalinici che fanno sollevare un gran polverone. Ma una volta ristabilita la visibilità quel che rimane è poco, l’album fila via liscio in modo abbastanza godibile senza però lasciare il segno. Ordinaria amministrazione ed una manciata di scossoni non riescono a far decollare un disco che resta piuttosto piatto e monotono. Sia chiaro, da Ted Nugent non ci si aspetta niente di diverso da quanto fatto a ripetizione a partire dal primo giorno in cui ha preso in mano la chitarra, ma “Shutup&Jam!” manca di incisività e rischia di finire presto nel dimenticatoio. Si segnalano i ritornelli armoniosi di “Fear Itself”, le buone linee melodiche, seppur inflazionate, di “Never Stop Believing” (anche se il brano ne avrebbe guadagnato con un taglio di un paio di minuti sui sei totali), i potenti riff di “Semper Fi” e “She’s Gone” (special guest della canzone Sammy Hagar) ed il tarantolato pezzo strumentale “Throttledown”. Come detto però la sostanza è poca, non a sufficienza per convincere e promuovere la fatica numero quattordici del Motor City Madman.
Passaggio a vuoto per Ted Nugent ed il suo “Shutup&Jam!”, che palesa un’ispirazione non eccezionale ed una carenza di idee. Ascolto leggero e spensierato, ma se dovessi scegliere un compagno di viaggio per l’estate punterei decisamente su altro.