Metal Church
XI

2016, Nuclear Blast
Power/Thrash

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 21/03/16

Fra le tante reunion degli ultimi anni, quello dei Metal Church stuzzica forse più di tanti altri i palati fini ed esigenti dei seguaci dell’heavy metal old school. Nel caso della band americana, non ci troviamo però davanti al classico comeback: a partire dal 2004 il combo capitanato da Kurt Vanderhoof ha sfornato release con cadenza più o meno regolare, sempre accolte con benevolo calore da parte del pubblico. “XI” non rileva significativi scostamenti dalle coordinate musicali del gruppo, ma questo non significa che non regali spunti interessanti.
 
Lo stile dei californiani resta il solito esempio di power/thrash di stampo US dalle atmosfere oscure, spesso cadenzato e comunque melodico, reso ancora più tagliente dall’ugola sinistra di Mike Howe, rientrato all’ovile dopo oltre vent’anni. L’assaggio del singolo promozionale (sempre che si possa chiamare ancora così…) “Reset”, brano chirurgicamente perfetto in tutte le sue parti, ha fatto la sua porca figura ed è stato messo non a caso in bella evidenza nella veste di opener, mentre i due brani successivi mantengono l’atmosfera e la qualità del disco su livelli medio/alti contro tutti i pronostici. A dare valore aggiunto la presenza in formazione di un pezzo da novanta quale Jeff Plate (Savatage, Trans Siberian Orchestra), che sostiene degnamente il sound con un drumming sufficientemente vario e funzionale allo stile della band. Un bel feeling generale che dura tuttavia poco: passano gli anni ma il tallone di Achille dei Metal Church rimane ancora scoperto, una band capace di intuizioni felicissime, un riff, un arpeggio, un chorus ma che si scontra con la difficoltà di montare e sviluppare le idee in modo adeguato. “Sky Falls” costituisce un ottimo esempio: arpeggio scarno e a effetto, riff in power chord, tempo cadenzato e un bellissimo chorus che chiude il cerchio, sette minuti di canzone che sarebbero potuti durare quasi la metà, vista l’inconsistenza del break centrale. I brani di mezzo si perdono nella monotonia, “Shadow” ha un sussulto nel break di chitarra solo, “Soul Eating Machine” gioca su ritmi sostenuti e un bel riff di derivazione BWOBHM ma i ritmi flat, le atmosfere opprimenti e un songwriting non sempre all’altezza delle premesse fanno scivolare tutto ben presto nell’anonimato.
 
E’ forse per questo che, nonostante i capitoli interessanti degli anni ‘80 e qualche scampolo di gloria (special guest dei Metallica per il tour di”Master Of Puppets”), i Metal Church restino un mirabile esempio di cult band: valida, potente e a persino emozionante in molte occasioni, ma pur sempre di seconda fascia. La dimensione live rappresenta però una carta da giocare a favore della band, per cui al di là del valore più o meno discutibile di questa release, il consiglio è di non perderli in sede live.




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