Monster Magnet
A Better Dystopia

2021, Napalm Records
Psych Rock

I Monster Magnet assorbono ed ereditano l'essenza dei Seventies, introiettandola completamente e trasformando i brani selezionati in un album che trascende la semplice reinterpretazione. 
Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 23/05/21

I Monster Magnet onoravano la musica degli anni '70 quando il fenomeno di revival di quest'ultima non tirava al pari di oggi. Complice la pandemia e l'insofferenza per i concerti in streaming, il gruppo, chiuso nel bunker dei Frakshop Studios, si è sbizzarrito in un vero, reale tributo a tutte quelle influenze oscure che hanno progressivamente forgiato il loro DNA. Più precisamente, le cover raccolte all'interno di "A Better Dystopia" costituiscono una sorta di playlist proveniente direttamente dalla quarta dimensione, che un giovane e sbarbato Dave Wyndorf consumava avidamente in una stanzetta angusta: i germi di "Superjudge" e "A Dopes To Infinity" nascono qui, in un brodo primordiale carico di allucinogeni, elettricità e distorsioni.

Il singer dà il via alla visionaria sarabanda recitando un monologo dai caratteri lisergici sostenuto da un'ininterrotta e tesa linea di chitarra: "The Diamond Mine" si regge su un testo di Dave Diamond, conduttore radiofonico statunitense che alla fine dei Sixties portò alla luce una pletora di band dedite alla psichedelia. Con il classico degli Hawkwind "Born To Go", il gruppo torna alle origini stesse dello stoner, immergendosi nell'effetto trance determinato dalla replicazione ipnotica del main riff e da una voce volutamente sotto-prodotta. Splendida, poi, la doppietta successiva: da un lato il blues sovralimentato e spettrale di "Be Forewarned", capace di deformare la vena struggente della versione dei The Macabre, dall'altro il gothic cavernoso e umbratile di "Solid Gold Hell" (The Scientists). L'act onora il clandestino contributo all'acid rock di JD Blackfoot grazie alla rivisitazione dell'hendrixiana "Epitaph For A Head", con il frontman, che, senza abusare di artifici da studio, riesce a dimostrarsi ancora una volta versatile e sornione.

Il fraseggio quasi ingenuo di "Mr. Destroyer" (Pooh-Bah) e "When The Wolf Sits" (Jerusalem), pezzi privi di aggiornamenti muscolari, lasciano trapelare la creatività sfrenata del tempo in cui vennero elaborati: dominano la scena le percussioni ossessive, il feedback reiterato, gli echi e i riverberi vintage, elementi che, combinati insieme, evocano un plateau di percezioni alterate, di esplorazioni del Sé mediante coadiuvanti diaforetici. Un po' come accade nel caso di "Death" (Pretty Things), composizione gravida di tenue tribalismo, di cordofoni sfocati, di vaporosi turbinii del sitar. Un paio di stilettate punk ("Situation" dei Josephus e "It's Trash" dei The Cavemen), invece, fanno da introduzione a "Motorcycle (Straight To Hell)" (Table Scraps), unica canzone contemporanea a comparire nella scaletta, pregna di fuzz e basata su un rudimentale beat di batteria, e nella quale Wyndorf evoca il fantasma di Iggy Pop attraverso lo stigma di un ringhiante aplomb. Chiudono l'hard classico a firma Dust di "Learning To Die", pista che il quintetto provvede a intingere di cupi archi sabbathiani, e una "Welcome To The Void", dal repertorio dei mai troppo apprezzati Morgen, serpentina e fumosa.

"A Better Dystopia" rappresenta esattamente ciò che descrive: una sintesi delle ansie e dei vizi di un'era segnata dalla paura della catastrofe nucleare, della guerra del Vietnam, dagli omicidi di Charles Manson, dalle tensioni razziali e dall'utilizzo diffuso dell'LSD. I Monster Magnet non soltanto ne assorbono ed ereditano l'essenza, ma la introiettano completamente, trasformando i brani selezionati in un album che trascende la semplice reinterpretazione. Pur con qualche scelta discutibile e un taglio a tratti fumettistico, un disco che non sfigura nel catalogo sterminato degli statunitensi.




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