Tre artisti dal curriculum di pregio e un album d'esordio omonimo, acclamato da critica e pubblico, rappresentavano un eccellente battistrada per le sorti della seconda release dei The Ferrymen: in questo caso, però, la maledizione del supergruppo trafigge senza pietà. Ciò non significa che "A New Evil" suoni come un disco da buttare, ma coglie nel segno chi, alla fine dell'ascolto, lo giudicasse un lavoro destinato a un celere oblio: se nulla c'è da eccepire sulla vocalità da urlo di Ronnie Romero, sul drumming stentoreo di Mike Terrana e sulla duttilità strumentale di Magnus Karlsson, i problemi maggiori riguardano l'assetto del songwriting approntato dal chitarrista nativo di Perstorp.
Lungi dall'adottare soluzioni anche solo parzialmente innovative, di fatto l'axeman svedese propone la medesima formula di un debutto che, malgrado contasse piste dal groove fragoroso e coinvolgente, mostrava già una perniciosa assenza di audacia compositiva. E così, pezzi quali "Don't Stand My Way", "Save Your Prayers" e "Our Own Heroes" recuperano pari pari gli intramontabili accenti power dei Primal Fear, la title track e "The Night People Rise" si muovono su territori cari al progetto Allen/Lande, la semi-ballad "Heartbeat" chiama in causa gli Starbreaker più struggenti: insomma, un'operazione di autoriciclo di cui non si sentiva il bisogno impellente. Comunque, nonostante il forte senso di déjà-vu, il lotto funge da discreto distrattore quotidiano, tra inserti sinfonico-orchestrali ("My Dearest Fear"), badilate di melodia e adrenalina ("Bring Me To Home", "You Against The World"), airplay hard rock ("No Matter How Hard We Fall", "All We Got") e l'ombra di Ronnie James Dio a benedire l'intera compagnia.
Non un completo passo falso, di certo una prova poco coraggiosa: "A New Evil" consegna dei The Ferrymen pigri a livello di ispirazione, tesi a costruire un'opera tetragona e iperprodotta che sa davvero troppo di comfort zone. I fan accaniti ne resteranno entusiasti, gli altri decisamente meno.