Nonostante i testi, opera del paroliere Simon Dancaster, mastichino misticismo e psicoanalisi junghiana, le atmosfere rinviano alle leggende del lontano Nord, al mondo coperto di ghiaccio e neve cantato nelle splendide pagine del libro sacro di Blashyrkh, e ora rivisto e corretto in chiave old school. Le rapsodiche cadenze di "Calm In Ire (Of Hurricane)", dunque, danno il significativo segnale d'avvio a una salva di proiettili esplosi da breve distanza.
"Harvest Pire", "Land Of Kherm", "Hecate", "Outstrider" rappresentano il sospirato back to the roots ai primi Eighties: di fatto, malgrado ogni pezzo appaia intriso di un black diretto e tagliente, ciascuno di essi ostenta non soltanto bicipiti heavy metal nei riff e negli assoli, ma si adorna altresì di svolazzi epici degni dei padrini Bathory, da cui, non a caso, viene ripresa "Pace 'Till Death". Al centro della piramide troneggia la voce nasale e crocidante del buon Olve Eikemo, abile nel muoversi con disinvoltura tanto nel NWOBHM trasheggiante di "Scythewinder", quanto nei cambi di tempo delle più canoniche "Bridge Of Spasm" e "The Artifex".
"Outstrider" conferma che Abbath riesce ancora a graffiare: al di là dei consueti e speciosi confronti, sfornare dischi solidi e accattivanti costituisce il modo migliore per competere con l'ex sodale Demonaz. Una sfida a colpi di chitarra, e non di sterili diatribe, non può che rallegrare la nostra sensibilità uditiva.