AC/DC
Rock Or Bust

2014, Columbia Records
Hard Rock

Manca il pilastro portante, ma l'impalcatura d'emergenza regge. Per ora...
Recensione di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 28/11/14

Al castello manca improvvisamente una trave portante. Gli abitanti cercano in fretta e furia una soluzione e, sapendo di non poter sostituire ciò che per loro è sempre esistito, si arrangiano come possono, costruendo una impalcatura che possa reggere tutto il peso che fino ad allora quell’importantissima parte architettonica aveva sempre sostenuto.

Malcolm è assente, in tutti i sensi, e gli AC/DC si son trovati improvvisamente senza colui al quale dovevano l’inarrestabile creazione di riff che, per quanto semplici e lineari (i malpensanti direbbero “banali”), avevano in sé quella scintilla che ha fatto sempre felici i fan, che rendeva impossibile non scuotere la testa a tempo. La situazione peggiora se consideriamo che Phil Rudd ha dato qualche problema nei giorni delle registrazioni, salvo poi entrare in studio e fare il suo lavoro senza ulteriori grattacapi. A sei anni di distanza da “Black Ice”, i nostri australiani preferiti ci hanno portato un album all’altezza con la loro storia?

Rock Or Bust” nasce da riff che il buon Malcolm Young aveva abbozzato e messo da parte ai tempi del lavoro precedente e che Angus ha ripreso e cercato di sviluppare nel migliore dei modi. Il risultato è costituito da poco meno di 35 minuti di classico repertorio AC/DC, con la title track che fa gli onori di casa e fa tirare un sospiro di sollievo a chi temeva il peggio dato il grande assente, seguita dal singolo “Play Ball” che col suo piglio energico si fa decisamente apprezzare. La produzione affidata al celebre Brendan O'Brien è impeccabile, ed il lavoro alle chitarre ritmiche di Stevie Young, nipote di Malcolm ed Angus, è come ci si aspetta: nulla di trascendentale, fa il suo compito e va benissimo così.

Tutto bene, dunque? Si e no. Si, perché il disco fila liscio che è una bellezza, grazie alla generale bontà dei brani, con qualche piccola ed interessante citazione (“Rock The House” ha frasi chitarristiche dal vago sapore dei Led Zeppelin di “Black Dog”, “Rock The Blues Away” sarebbe interessante ascoltarla con Bruce Springsteen alla voce), e no, perché il disco… fila liscio liscio. Ad esser chiari, nonostante i brani citati possano esser considerati tra i migliori del lotto, non c’è un episodio che spicchi particolarmente più degli altri. Sono buone canzoni, ma nulla più, ed in alcuni frangenti prevale la sensazione che la mancanza di supervisione o di un guizzo di Malcolm sia piuttosto marcata (“Miss Adventure” in primis).

“Rock Or Bust” non è un lavoro da stroncare: trovarsi dopo decenni senza la colonna portante su cui si è sempre contato è un duro colpo, ma l’impalcatura costruita da Angus è sufficiente per far sì che non crolli tutto. Cade qualche pezzo d’intonaco, un po’ di polvere si adagia sul pavimento, ma gli AC/DC non cadono.



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