In gran parte incisa nel 2017, la sospiratissima decima fatica dei Fear Factory vede finalmente la luce, dopo una serie di battibecchi e controversie legali sulla proprietà del moniker. Nonostante le innumerevoli difficoltà, compresi problemi extra-musicali, Dino Cazares, divenuto unico deus ex machina della formazione visto l'abbandono, non senza veleni, di un Burton C. Bell comunque protagonista del disco, è riuscito nell'impresa di portarne a termine la pubblicazione, avvalendosi del fondamentale aiuto del produttore francese Damien Raynaud e dei fidati Rhiys Fulber e Andy Sneap dietro la console. Ri-registrata la batteria da Mike Heller, inserite alcune nuove tracce di basso e chitarra e apportate le necessarie sistemazioni in fase di arrangiamento, "Aggression Continuum" ha assunto quella coesa fisionomia cibernetica che ci si aspetta dagli statunitensi. Un lavoro in pieno stile Fabbrica Della Paura, dunque, che continua sulla falsariga del precedente "Genexus" (2015), offrendo all'ascoltatore un industrial metal dalle ampie aperture melodiche, lontano dalla qualità di un'inarrivabile "Demanufacture" (1995), ma superiore a prove scialbe e poco convincenti quali "Mechanize" (2010) o "The Industrialist" (2012).
"Recode" manifesta dal principio quanto il songwriting cinematografico del combo rimanga una componente inalterata della propria essenza: il brano, infatti, inizia con un messaggio su nastro à la John Connor che incita alla resistenza contro il dominio dell'intelligenza artificiale, accompagnato dapprima da uno sfondo d'archi, poi frantumato dall'irruzione deflagrante della sette corde di Cazares. Le tastiere e i synth, di mano di Igor Koroshev, conferiscono una dimensione hollywoodiana e minacciosamente orchestrale ai pezzi, mentre la voce di Bell incarna ancora alla perfezione la dualità insita nell'identità stilistica dell'act, dai ringhi che scandiscono "Disruptor" alle emozionanti linee pulite della seconda metà della title track.
"Purity" tracima uno spirito quasi heavy rock, non esitando a rendere meno austeri i suoi claustrofobici ritmi, ma si tratta soltanto di un attimo, perché a ruota seguono la brutalità robotica di "Fuel Injected Suicide Machine", le pesanti sotto-accordature di "Collapse", gli stoppati colossali di "Manufactured Hope", i riff schiacciasassi di "Cognitive Dissonance". Non si tratta, beninteso, di furia cieca, considerata l'abbondanza, a volte eccessiva, di ritornelli orecchiabili e di arpeggi agrodolci che permeano ciascuna canzone (vedesi "Monolith"), come a testimoniare il tentativo dei nordamericani di conservare l'elemento umano in un mondo fagocitato dalle fredde spirali della tecnologia. E la finale "End Of Life", con un interludio in modalità Linkin Park e un'oscura outro sci-fi, mette un sigillo esemplificativo alle tematiche distopiche del platter e alla storia della band stessa.
Precisione chirurgica e compattezza rendono "Aggression Continuum" il miglior lavoro del ventunesimo secolo per dei Fear Factory che accantonano parzialmente le inquietudini nichiliste di un'intera carriera e si concedono il lusso di vagare attraverso territori post-apocalittici segnati dalla speranza e da momentanei stati di sollievo. Il futuro del gruppo, però, appare tutto da scrivere e sarà molto più complesso che lo smarcarsi dall'opprimente dittatura delle macchine.