Agnes Obel
Myopia

2020, Deutsche Grammophon
Alternativa/indie

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 24/03/20

L'individuo che cresce in musica è circondato da una sorta di aura, una sensibilità nata tra accordi altrui e traduzioni personali nelle lingue più disparate, al fine di assimilare la vera essenza della voce, delle parole. La persona matura sensibile, sfiora meandri musicali che, inevitabilmente vanno ad intaccare l'intera sfera del carattere, delle relazioni, dell'umore. Quella sensibilità nata lontana dalla cattività del mainstream e/o dalle collaborazioni forzate dei nostri giorni, muta, fino a quando, all'individuo in questione, non resta che tirare le somme del dove, la fiacca sensazione di libertà musicale, lo abbia portato. Il posto è sempre diverso ma anche questa volta atterriamo in Danimarca. Sarebbe da stolti fingere che il nuovo inciso di Agnes Obel, non abbia colpito nel marasma del nostro scorrere giornaliero sui principali social. Agnes Obel è di nicchia, siamo d'accordo, ma questa trentanovenne danese merita il suo spazio con questo nuovo “Myopia”


Il viaggio che la danese decide di farci ascoltare è introspettivo, crepuscolare a tratti, ermetico se non si è pronti a sfidare quella che è la proposta. Non ci sono influenze ricollegabili o calcoli in base ad altre proposte, non è questo il caso. Gli accordi si fanno rarefatti sull'immediato, le influenze viaggiano tra il neoclassicismo più convinto e poi la voce – estremamente a suo agio su ciò che può dare, mai fuori spettro, mai sul punto di mostrare a tutti gli effetti che fuoriclasse è nel suo campo. “Camera's Rolling” ha una purezza sinistra quasi ipnotica e la seguente “Broken Sleep” regala forse qualche sprazzo su quale siano le colonne portanti della crescita e maturazione musicale della nostra. Kate Bush, la scozzese Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, per citare qualche sconosciuta. Ed è proprio quest'ultima ad aver toccato profondamente la Obel, visto e considerato che le transizioni vocali ne ricordano i movimenti. “Island of Doom” è malinconia pura e riporta alla mente una certa Berlino in pieno acquazzone in una giornata invernale. L'intero album potrebbe egregiamente accompagnare un film, uno di quelli indipendenti, con uno script dettagliato e una limitata distribuzione esclusiva ai tanto amati cinema indipendenti (“Roscian”). “Drosena” ipnotizza e destabilizza nel suo strumentale pianto spettrale e senza alcun preavviso è la stessa Obel a confermare ciò che era stata solo la teoria di un redattore qualche riga fa (“like a script for the screen, i would fall for you”) in “Can't Be”. 


“You would leave me under oath, 
blazing thunder at all, 
leave me under the sun 
and i'll dream of the sea, 
dream of the sea”. 


Sono proprio questi ultimi versi da “Promise Keeper” a regalarci quella profonda consapevolezza che le persone vanno e vengono, ci lasciano e cercano di tornare, alcune volte sarà difficile riabbracciarle o rivederle ma alla fine dei conti è ciò che rimane quello che conta davvero. E' ciò che facciamo della sensazione poi, una volta che non ci appartengono più che vale l'intero viaggio ed Agnes Obel è stata la magistrale colonna sonora nel nostro ricercare quella calma che qualcuno ci aveva portato via. 




01. Camera's Rolling
02. Broken Sleep
03. Island Of Doom
04. Roscian
05. Myopia
06. Drosera
07. Can't Be
08. Parliament Of Owls
09. Promise Keeper
10. Won't You Call Me

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