Complice l'abbandono del singer Stephan "Heiko" Dietrich, i tedeschi Alpha Tiger inaugurano, con la pubblicazione dell'album omonimo, un nueue kurs in cui la solida componente heavy metal si tinge di robuste iniezioni di melodic rock, volte ad allargare lo spettro sonoro del giovane quintetto. Lungi dall'essere una banale replica di Queensrÿche e Fates Warning, la band nei lavori precedenti dimostrava una buona personalità nel rimasticare stilemi sfruttati ad nauseam, giungendo con "iDentity" (2015) a una linearità di scrittura capace di conferire freschezza e genuinità a una proposta volutamente retro. Con "Alpha Tiger" i seventies diventano il modello da seguire: consapevoli sia della diversa estensione vocale dell'esordiente Benjamin Jaino sia del pericolo della reiterazione del medesimo disegno sonoro già ampiamente esplorato, i nostri convogliano le proprie risorse nel tentativo di realizzare un disco sfumato e duttile.
Forti di liriche intime e profonde, incentrate sul tema della caducità e della malinconia, l'ensemble di Friburgo presenta soluzioni meno aggressive, privilegiando un approccio sì vivace, ma non immune da divagazioni di matrice psichedelica. Del resto, la registrazione in analogico contribuisce all'evocazione di un'atmosfera piacevolmente vintage: un'inclinazione insita sin dagli albori nelle corde del chitarrista e leader Peter Langforth e che finalmente trova compimento nei Big Snuff Studio di Berlino.
Tuttavia, un mutamento piuttosto brusco di coordinate stilistiche ben padroneggiate non sempre conduce a frutti del tutto soddisfacenti: se da un lato l'impegno lesinato non conosce requie, soprattutto nei brani che si distaccano maggiormente dal recente passato del gruppo, dall'altro i propositi di rigenerazione, in vari segmenti, si arenano in un amalgama di elementi dissimili faticoso e inefficace. Fluidità e giustapposizione, voli pindarici e cedimenti terreni, bagliori e annebbiamenti: inevitabili oscillazioni di un progetto musicale in fase di delicata transizione e alla ricerca di un'identità in grado di schivare le perigliose battigie dell'anonimato.
La circolare progressione cosmica dell'intro strumentale "Road To Vega" apre scenari gravidi di promesse: l'Hammond della soffice "Aurora" conferma le deliziose sensazioni dell'opener, con gli Alpha Tiger tesi a dilatare la coscienza del proprio sound in direzione di un immateriale oltreverso. Sapori western e trascinante groove metallico contraddistinguono "Welcome To Devil's Town", impreziosita da un inserto finale di chitarra flamenca, mentre "My Dear Old Friend" rivela chiari radici settantiane nell'utilizzo dell'organo, strumento capace di conferire una fisionomia sfaccettata alla traccia. La sfrontata coppia "To Wear A Crown" e "Vice", pur non brillando per soluzioni particolarmente temerarie, palesa un invidiabile vigore, esaltato dalla resa esecutiva dinamicamente grezza; energia che caratterizza "Comatose", pezzo dal refrain accattivante e carico di frammenti old school, astutamente scelto come singolo.
Nonostante le discrete vibrazioni complessive, il resto del lotto esibisce limiti già avvertibili nelle tracce analizzate: se "If The Sun Refused To Shine" possiede un'anima zeppeliniana esclusivamente nel titolo, "Singularity" si appropria degli Iron Maiden come degli Helloween più commerciali, risultando farcita di pedissequo citazionismo. L'opaca "Feather In The Wind" e lo zoppicante anthem "The Last Encore" completano un quadro altanelante, in cui sfortunatamente l'acerba ugola di Jaino spesso non riesce a nascondere alcune défaillances del platter.
Bilancio ondivago dunque per i volenterosi Alpha Tiger: nell'attesa di comprenderne la crescita e valutare sulla lunga distanza il peso della defezione di Dietrich, ai teutonici va riconosciuto il merito di un coraggioso cambio di direzione, malgrado non manchino zone d'ombra e perplessità assortite. Ammirevoli nelle intenzioni, da verificare negli esiti, auspicando che un capriccioso miagolio trasfiguri in nobile ruggito.