Ancor prima che per il loro personalissimo e collaudato folk/prog, gli Amorphis si distinguono nel mondo del metal per essere tra i pochissimi che possono vantare sia un’incredibile prolificità (parliamo di una band capace di sfornare ben cinque dischi negli ultimi sette anni) sia una qualità delle composizioni che si mantiene sempre su standard elevatissimi. Dagli esordi di stampo death, con il capolavoro assoluto “Tales From The Thousand Lakes”, fino ad arrivare al convincente filotto di quattro dischi cominciato con l’ingresso in formazione del vocalist Tomi Juotsen, è impossibile trovare un singolo album del gruppo finlandese che non sia in grado di regalare qualcosa di importante, sia esso qualche momento di headbanging convinto o qualche nuovo hook melodico capace d’emozionare e di far volare con la fantasia.
Sarebbe dunque insensato pretendere, da un loro nuovo album, una rivoluzione che parta dalle radici, che stravolga quell’equilibrio trovato in una carriera ormai più che ventennale. Vanno lodate, piuttosto, le piccole variazioni sul tema offerte di volta in volta, che scongiurano il pericolo che ogni nuova uscita venga tacciata d’essere un semplice “more of the same”. “Circle” in tal senso non delude, arrivando sugli scaffali con un bel po’ di cambiamenti già nel personale che ha lavorato al suo confezionamento: la produzione passa dalle mani di Marco Hietala, che collaborava con la band da più di un decennio, a quelle del leader degli Hypocrisy Peter Tatgren, e la scelta si riflette in un netto irrobustimento, ma anche in una maggiore definizione, delle singole parti di chitarra e di basso; viene salutato anche Travis Smith in favore dell’artista Tom Bates, che disegna una monocromatica cover art visibilmente ispirata alle opere di Alfons Mucha; resta ad occuparsi dei testi il lyricist storico Pekka Kainulainen, che stavolta però non trae integralmente il concept dai miti del Kalevala, ma scrive di suo pugno una storia originale che ruota attorno al riscatto di un uomo, che dopo una serie di sfortune riesce a riportare in carreggiata la propria vita.
Ma oltre a queste novità in elementi, se vogliamo, di contorno, è nel sound che “Circle” si mostra ben più spigoloso rispetto ai suoi recenti predecessori, mettendosi a distribuire mazzate in copiosa quantità. Si comincia fin da subito, con l’introduttiva “Shades Of Gray”: le tastiere sognanti di vecchie opener come “Sampo” o “Battle For Light” sono soltanto un vecchio ricordo, spazzato via da un riff granitico, un doppio pedale possente, un growl devastante. Joutsen sembra essere giunto al culmine del suo inarrestabile processo di maturazione: la sua prestazione al microfono è maestosa, e spazia con disinvoltura da un caldo e toccante canto clean ai viscerali lamenti della funerea "Enchanted By The Moon", o alle inedite sperimentazioni in simil-scream della cattivissima "Nightbird's Song". Come da copione, non mancano episodi più morbidi e melodici, a partire dallo splendido ritornello asimmetrico del primo singolo “Hopeless Days”, per arrivare alla malinconica “Wanderer” (ottimo solo di Holopainen sul pezzo), passando per l’anthemico, struggente chorus di “Into The Abyss”.
“Circle” è un album fatto con gusto e mestiere, che scorre piacevolmente dal primo all’ultimo minuto, senza nemmeno un momento di stanca, senza che si possa rintracciare un singolo filler (cosa che, invece, poteva benissimo farsi con il precedente “The Beginning Of Times”). Certo, tra le sue nove tracce, tolte semmai le due conclusive, epiche “Enchanted By The Moon” e “A New Day”, non ce ne sono di veramente strabilianti, che possano proporsi come nuove pietre miliari, nuovi punti di riferimento in una carriera già piena di capolavori. Resta comunque una manciata di pezzi validi e dallo stile inconfondibile, che faranno la gioia dei fan e andranno a rimpinguare scalette live già energiche ed esaltanti. Una cinquantina di minuti di soliti, solidi Amorphis.