Animals As Leaders
The Joy Of Motion

2014, Sumerian
Prog Metal

Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 07/10/14

Una delle scene musicali attualmente più infermento ha da poco partorito una delle creature più attese: gli Animals As Leaders di Tosin Abasi presentano "The Joy Of Motion", terzo album studio del progetto del chitarrista. Considerata dunque l'esposizione che questo tipo di musica ha oggi, ci si chiedeva se quest'ultimo lavoro sarebbe stata la pietra miliare del "djent". La questione su cosa realmente sia e dove vada a finire il djent è probabilmente troppo annosa per questi lidi, ma una cosa è certa: "The Joy Of Motion" non può essere collocato strettamente in quell'ambito fatto di tecnica ossessiva applicata a un metal molto pesante, tirato, fra il death e il prog.


Dopo un album ("Weightless") dove Abasi ha scatenato il proprio ego creativo, strizzando anche un po' l'occhio alla "moda" del momento, e ottenendo risultati non proprio mondiali, questo lavoro è non solo una ventata d'aria fresca, ma sicuramente la fatica più completa, matura e fruibile degli Animals As Leaders. Già, perchè mai come nel caso del fenomeno del djent, bisogna dire che un lavoro maturo spesso equivale a un lavoro che sia fruibile, che non anneghi nei tecnicismi fini a se stessi, che non abbia una frammentazione eccessiva in un mare di cambi di tempo e basse frequenze, un che di ruffiano nella complicazione e nell'uso di particolari epiteti. "The Joy Of Motion" vede Abasi lavorare a quattro mani, alla scrittura dei pezzi, con Misha Mansoor, produttore e chitarrista -uno dei tanti- dei celebri Periphery; inoltre lo stile di Javier Reyes è per la prima volta dichiaratamente una fonte per il nuovo sound degli AAL.

 

L'album, interamente strumentale, si apre con "Ka$cade", dieci secondi di clichè clean jazzy+aria sull'ottava corda e poi un'esplosione, tirata ma non all'eccesso; ai riff cupi si oppone finalmente un tema riconoscibile, che si ricorda e che melodicamente è davvero appagante. Si sente qualche accenno della produzione elettronica (probabilmente farina del sacco di Mansoor) e assaggiamo già il fraseggio di Tosin in un break soft, forse eccessivamente improntato alla dissonanza in un brano che magari non aveva bisogno di ulteriore complicazioni, ma è solo una piccola nota stilistica soggettiva. Bello il passaggio, verso la fine, da un solo stavolta più "standard" al tema portante.
Seguono "Lippincott", brano meno districato del solito djent che si apre con un altro suono tipico da valvole in rottura, e "Air Chrysalis", ancora più sul clean: sono entrambi brani che forse sono destinati ad essere di transizione. I successivi richiedono invece più attenzione: "Another Year" è una decisa deviazione dalle atmosfere del genere; si apre con accordi sul jazz/funk e sorprendentemente mantiene tali ritmi per tutta la durata: decisamente ben riuscita e studiata, con melodia e ritmi catturanti, prima di un break che precede un attacco davvero piacevole e ritemprante. Ecco, a questo punto, se è permesso fare un appunto a quest'album e in generale allo stile degli AAL è questa ricerca continua dello stacco, del passaggio ad ambienti musicali totalmente diversi spesso per amore della complessità, che alla lunga stancano decisamente un orecchio che a volte avrebbe bisogno di più continuità e decisione.


Anche il brano successivo, in ogni caso, è ottimo: "Physical Education" si apre con un tema principale decisamente catchy supportato dal solito chug dall'oltretomba. Ci troviamo comunque in un ambito più delicato del death metal, verso una sorta di prog: il fraseggio di Abasi è, ancora, poco incisivo, i clean sono ben studiati e non forzati, e i break, stavolta, fanno il loro sporco lavoro e danno un sentore di prog extravaganza al pezzo. Heavy prog di scuola Vaiana anche per il brano successivo, impreziosito da temi e tecnicismi decisamente duri: "Tooth And Claw" offre un ascolto piacevole; come d'altronde il successivo "Crescent", che però risulta meno interessante, anche al netto di un paio di svisate jazz. Come già annunciato quest'album si discosta da ambientazioni pesantissime e troppo tirate che rappresentavano il difetto dell'album di esordio: "The Future That Awaited Me" è un'altra track soft, che riesce nel difficile lavoro di conciliare tempi particolari e vezzi virtuosistici con melodie e atmosfere da sogno. Il momento più alto dell'album arriva, probailmente, con "Para Mexer": il brano è qualcosa di veramente originale, nel senso più genuino, non studiato a tavolino nè ruffianamente infarcito di stranezze. Si tratta di una fusione perfetta fra le sonorità del jazz più latino e il djent moderno, e, nonostante sia suonata prevalentemente su una chitarra acustica, riesce ad avere i suoi momenti heavy, che sono raggiungibili (ma con perizia) anche in acustico. A livello di melodie, tempi e temi decisamente ci siamo: le svisate latine catturano l'attenzione, il break centrale, che stravolge il brano, è composto con maestria per ottemperare a quella funzione originaria che tanto si era persa: stupire l'ascoltatore...E tornare senza quasi farci accorgere ai temi primari, chiudendo la canzone con circolarità e lasciando il sapore del risveglio da un bel sogno. Più circense la successiva "The Woven Web", probabilmente gradita ai musicisti, anche se, ancora, non siamo nel djent più spudorato... Nel quale si cade con la penultima, "Mind-Spun", dove sentiamo forse per la prima volta lo sweep picking. Di sicuro è la track con più riminiscenze di CAFO e compagnia bella, ma a questo punto dell'album, dopo i contenuti ascoltati, è un momento ben gradito, perchè non ridondante, e alla fine dei conti anche ben fatto; lo stesso discorso vale per la finale, "Nephele", anch'essa più convenzionale e forse quella con più momenti solistici di Tosin.


A livello musicale naturalmente nulla si può dire sulla perizia tecnica di chi suona, e ci mancherebbe, dato che spesso è proprio lo spettacolo principale. Non è fortunatamente questo il caso, e anche i musicisti aggiunti, e cioè Adam "Nolly" Getgood (Periphery) al basso e Matt Garstka alla batteria, rimangono decisamente nei ranghi svolgendo il loro ruolo con maturità e lasciando la scena principale, come il concetto degli AAL vuole, a Tosin Abasi. La freschezza di quest'album, specie rispetto a molti altri artisti, è data però da un paio di interventi: da una parte il tono passa in secondo piano rispetto a ciò che viene suonato, il che è decisamente più evidente nelle parti clean, spesso sentite come un "obbligo" in altri lidi, mentre qui sono ben studiate e pertinenti. D'altra parte, la musica è decisamente più variegata, il che potrebbe magari dispiacere a un seguace del djent dalla mentalità rigida (non ce ne sono poi tanti), ma a livello generale non può che essere un bene. Da qua a dire che sia un album per tutte le orecchie ce ne vuole, ma non solo il chitarrista technical metal potrà assaporare i vari momenti di The Joy Of Motion. Momenti supportati da un songwriting di buon livello, da un uso espertissimo degli epiteti del genere, spessissimo a rischio di essere inconcludenti, pretenziosi o masturbatori; l'album poi offre alcuni brani, sempre a parere e gusto di chi scrive, davvero elevati: "Ka$cade" invoglia a continuare per tutte e 12 le track, "Para Mexer" è un capolavoro.


E allora, giunti alle conclusioni, parliamoci chiaro; l'album è bello. Ma. Ma non è l'album che cambia la vita, questo probabilmente per un paio di caratteristiche che forse non sono neanche difetti: la struttura "a raccolta", dove i brani sono tutti di lunghezza fra i 4 e i 5 minuti, e dove non c'è tematica comune alcuna. E anche la mancanza di testi/cantato, in un environment di questo tipo, può essere logorante: l'ascoltatore ha bisogno di diversità a livello timbrico, specie quando manca una componente retorica; questa esigenza non viene esaudita. Grandi complimenti per la nuova varietà di generi, ma sarebbe più appagante se andasse a braccetto con uno studio di tipo particolare per i suoni, evitando di dare, collateralmente, la stessa atmosfera a molti pezzi. Quattro-toni-quattro per la chitarra, la gamma di frequenze bassa sempre satura e i suoni elettronici non possono bastare a svegliare tutte le aree che l'orecchio vorrebbe. Il che però non è obbligatorio. Così come non è obbligatorio dover ascoltare l'album tutto intero, sempre. E' una raccolta di canzoni che si attesta con un determinato carattere, e in quanto tale, è davvero ben riuscita. Chi ama il genere, ma anche chiunque abbia voglia di musica felicemente complessa, non può rimanere deluso da quest'album.





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