"Anymore" dà inizio alle danze, o, per meglio dire, al primo livello. Estratto come singolo, il brano è l'unico non esclusivamente strumentale: due voci, una maschile e una femminile, si fanno da eco, il giro di basso iniziale cattura l'attenzione, per poi sorprendere con l'ingresso della chitarra. L'arpeggio si trasforma in riff, per poi lasciare spazio alle voci e ripresentarsi sotto forma di una ritmica decisa. I sintetizzatori accompagnano tutto il pezzo con importanti modulazioni, fino a quando non esplodono durante il secondo ritornello insieme alle percussioni e ai beat. "Anymore" è sicuramente il pezzo più radiofonico, quello in cui le parti sono più definite e i suoni meno sperimentali.
Al secondo livello si trova "Broken Cables": due minuti e mezzo di pura adrenalina. Decisivo il campionamento dei cavi rotti per conferire al brano quella ruvidezza di sottofondo, mentre, cristallino e potente, il beat si fa largo fino a toccare l'apice durante il ritornello. Le percussioni sfociano quasi nella jungle, e l'effetto della chitarra si assimila perfettamente al suono dei sintetizzatori. L'assolo a metà pezzo rivela grande tecnicismo; infatti Alexjem ha studiato con Steve Vai e con lui si è esibito nel 2014 a Roma, dimostrando, in questo pezzo, di averne assimilato brillantemente lo stile. Ottimo l'uso delle dinamiche, che conferiscono il sapore di modernità che riveste il pezzo.
Si prosegue verso "Monark", dove tutto l'eclettismo viene fuori in un mix ponderato di suoni e ritmi: l'intro di percussioni e synth dona un effetto di classe, per poi sublimarsi nell'assolo di chitarra, accompagnato da ritmiche funky in stile Daft Punk. È il pezzo in cui la chitarra si fa più presente e si mostra in diverse forme: dal legato al plettrato allo strumming. Il finale, in pieno stile techno anni '80, scioglie la tensione con alcune variazioni di basso dopo un ultimo, eccitante ritornello.
In "Arcade" l'attacco fortemente ritmato contiene un'esplosione di suoni che si alternano con maestria: prima entra il beat, poi l'arpeggio di chitarra, poi ulteriori sintetizzatori e si viene a formare una stratificazione sonora che si interrompe durante il riff di matrice rock-funk, per poi essere ripresa prima della fine. Suggestivo l'irrompere di frenetici synth, che sembrano quasi pulsanti schiacciati alla rinfusa. Il finale riserva le vere sorprese: dopo aver sconfitto il boss, ci si aspetta che il gioco sia terminato, tutto si dilata ritmicamente, ma in realtà un lungo fischio lascia l'ascoltatore sospeso, ancora con la mente alle melodie precedenti, in un certo senso perso in questo universo fantascientifico.
"Arcade" è la perfetta sintesi di modernità, sperimentazione, virtuosismo e vintage. Così le atmosfere ricordano quelle di serie televisive come "Black Mirror" e "Stranger Things", quest'ultima richiamata anche dall'estetica della copertina. Alexjem Project esordisce in modo brillante grazie ad un EP che rivela un'accurata ricerca di suoni ed effetti, dove nulla è lasciato al caso, ma anzi, tutto è volto a creare una dimensione innovativa, quella appunto "cyber-rock", nella quale è facile entrare ma non altrettanto semplice è fare ritorno.
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