Red Fang
Arrows

2021, Relapse Records
Stoner

La band di Portland riconquista la scena riproponendo la solita formula vincente, ma, questa volta, con un occhio di riguardo alle sue origini.
Recensione di Giampiero Pelusi - Pubblicata in data: 09/06/21

Diciamoci la verità: quanto ci sono mancati quei caciaroni dei Red Fang? Cinque lunghi anni di astinenza hanno tentato di compromettere la nostra sete di ironia e sfacciataggine made in Portland, ma l'attesa è giunta, finalmente, al termine. Preparate le birre gelate, mettetevi in ciabatte e vestaglia e accomodatevi davanti allo stereo: i Red Fang sono tornati, più sfrontati di prima.


È sufficiente guardare il music video di "Arrows" per rianimare l'amore sconclusionato per il quartetto dell'Oregon: quattro minuti (e gran parte del budget) spesi per affettare oggetti con una katana. E chi ama i Red Fang non potrà che avere gli occhi lucidi di fronte a tali immagini pregne di nonsense e sarcasmo, elementi cardine nella filosofia musicale di Bryan Giles e soci. Un'indole espressa sotto le veci di uno stoner rock piuttosto semplice e senza troppi giri di parole, che in quest'ultimo "Arrows" si contamina (ancor di più che nel precendente) di sporche sfumature sludge e doom.


A confermare ciò, basta far partire il disco: la disturbante intro "Take It Back" e la successiva, monolitica, "Unreal Estate" impiastrano le mani nel sound schizzato e opprimente dei Melvins di King Buzzo, da cui prendono spunto anche per buona parte delle vocals. L'acidità corposa delle chitarre di Bryan Giles e David Sullivan cuciono un tappeto sonoro tecnicamente non eccelso, ma capace di far sprofondare in vividi sogni multicolore, tra suoni stranianti ed immagini stregate. "Two High" e "Fonzi Scheme" mantengono un passo piuttosto cupo e ponderato, mentre "My Disaster", "Anodyne" e "Rabbits In Hives" espellono con fragore le influenze punk della band di Portland, mai troppo celate. "Days Collide" è un macigno sludge che richiama a gran voce i mid tempo malinconici dei Down, mentre più particolare risulta la criptica "Why". "Dr. Owl" e "Funeral Coach" sparano le ultime cartucce all'acido lisergico, cospargendo il terreno di rumorosi bossoli fumanti.


La band di Portland riconquista la scena riproponendo la solita formula vincente, ma, questa volta, con un occhio di riguardo alle sue origini. Le influenze sludge e le conseguenti atmosfere più cupe, che avevano fatto la fortuna dell'acclamatissimo "Murder The Mountains", vengono rispolverate con attenzione in quest'ultimo lavoro, facendo gioire i fan di vecchia data, così come i nuovi discepoli. Non ci sono innovazioni di sorta, d'altronde modificare i fattori di un sound ben rodato come quello degli statunitensi si sarebbe potuto rivelare un rischioso tentativo di snaturamento; ciò nonostante, un pizzico di sperimentazione avrebbe aggiunto del pepe ad una ricetta già, di per sè, gustosa e prelibata. I Red Fang sono diretti e senza troppi indugi e "Arrows" ne testimonia a pieno la natura: se siete bramosi di stoner impegnato, passate oltre. Se volete, invece, ascoltare i deliri sonori di quattro buffi energumeni senza troppi sbattimenti, stappate una birra, brindate e sintonizzate le orecchie sulle loro frequenze.





01. Take It Back
02. Unreal Estate
03. Arrows
04. My Disaster
05. Two High
06. Anodyne
07. Interop-Mod
08. Fonzi Scheme
09. Days Collide
10. Rabbits In Hives
11. Why
12. Dr. Owl
13. Funeral Coach

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