Le costellazioni, in effetti, non esistono "realmente": sono solo il prodotto del nostro punto di vista e dell'innata tendenza umana a organizzare il caos in sistemi ordinati. Un po’ quello che fanno i britannici 11 Paranoias con "Asterismal", in cui tentano di dare ordine e forma al magma musicale da loro prodotto. Un prodotto davvero sorprendente, che mescola da diversi anni (e da quattro dischi) ingredienti che altrimenti faticheremmo ad immaginare fusi assieme: il noise-sludge oggi così in voga, lo stoner-doom e la psichedelia. Gli 11 Paranoias puntano non a effetti intensivi - come nel death, nel thrash, nel punk e nel grind - ma lavorano l'ascoltatore sulla distanza, estensivamente: la forza del loro songwriting emerge ad ascolto prolungato, come nel classic doom. Non è musica per tutti i palati, senza dubbio, ed è difficile trovare punti di riferimento o modelli tra le band del passato. Quella che forse gli si avvicina di più è la parabola dei Neurosis, dall'hardcore acido degli esordi all'originalissimo postcore degli ultimi lavori.
Al di là di pochi riferimenti, perciò, la proposta degli 11 Paranoias ci sembra assai originale, e in tale originalità sta la sua forza. I brani dispiegano oscure fantasmagorie psichedeliche, in un naufragio sonoro condotto soprattutto dalle chitarre, con le voci - ora urlate, ora sussurrate - sature d'eco e lontane, nascoste dietro l'imperiosità della sezione ritmica. Il difetto più rilevato di "Asterismal" - ma forse ancor più nei lavori precedenti - è, a nostro sentire, una certa ripetitività che in diversi momenti appesantisce inutilmente l'ascolto, toglie incisività all'insieme e, alla lunga, rischia di stancare. Peccato, perché le idee ci sono; manca forse ancora alla band la capacità di giocare in modo efficace con le dinamiche. Siamo persuasi - sin dal loro nome - che è nelle loro intenzioni stordirci con ossessionanti litanie, ma non sta scritto da nessuna parte che ossessione significhi per forza ripetizione a oltranza. Sospendiamo in parte il giudizio, in attesa di poter sentire la band dal vivo.
Nondimeno, i brani di valore non mancano, ma occorre ammettere che la formula riesce laddove non è spinta oltre ogni limite, mettendo a dura prova la pazienza dell'ascoltatore: ottime le brevi ed incisive "Bloodless Crush", l'allucinata "Chamber Of Stars" e "Vitrified Galaxy"; poco brillanti "Loss Portal"e "Slow Moon"; estenuante la torrenziale "Quantitative Immortalities". Molto bene sperimentare, insomma, ma molto meno bene premere sul pedale dell'ossessività oltre i limiti del giusto e del gusto. Ciò detto, meritano certamente di essere ascoltati.