I pezzi molto riusciti del lotto sono numerosi: l'andante "The Counter Dance" sembra un parto delle terre della Carelia, "From The Lighthouse" ricorda invece gli Insomnium più ispirati grazie a chitarre malinconiche e voci corali d'insieme. "Ironforged" è poi un brano riconoscibile che fa tesoro del background della band creando qualcosa di nuovo ed emozionante ai limiti col symphonic metal, mentre la lunga suite conclusiva "White Overcast Line" è una stratificazione emozionale creata su fraseggi chitarristici intrecciati su un tappeto di armonie solari. Particolarmente votata al versante live sembra infine "To The Moon", uno dei punti più elevati del disco, dagli arrangiamenti così finlandesi da guadagnarsi istantaneamente l'indipendenza dalla Russia.
La produzione è di buon livello, anche se un sound di batteria più personale avrebbe aiutato il disco ad avere maggiore personalità e a differenziarlo maggiormente, dato che almeno i fusti sembrano presi da una libreria di sample dal suono troppo riconoscibile ormai in uso presso moltissime band. Nonostante questo, i suoni sono complessivamente adatti al genere e il missaggio assicura il giusto peso di ogni strumento nell'economia musicale della band meneghina, cosa per nulla scontata visto il numero di elementi presenti nello spettro sonoro e la velocità a cui spesso si susseguono.
Con "What The Oak Left" gli Atlas Pain si impongono, oltre che come un altro centro nel talent scouting messo a segno dalla Scarlet Records, come una delle formazioni più promettenti e dal probabile impatto internazionale, magari a seguito di un dovuto aumento di budget in favore del gruppo che siamo certi arriverà dopo un debut di questa caratura.