Beardfish
+4626-Comfortzone

2014, InsideOut
Prog Rock

I dissacranti deliri di un moderno classico del prog
Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 12/01/15

"It feels like I've been doing this
For a million years
Every note has been played before
In this exact order too"

In coda a quell'assurdo dischetto che è "+4626-Comfortzone" c'è una certa "Ode To The Rock'n'Roller", che parrebbe -dal titolo- un'esaltazione della tradizione rock ma è in realtà un'autobiografica testimonianza di un radicato fastidio nei confronti della progressiva staticità. Un manifesto programmatico della rivoluzione dell'inventiva in una marmaglia di cover band che fanno finta di scrivere inediti, sotto forma di racconto breve (un tizio impazzisce e suona Stravinskij come in trance, il pubblico non apprezza, lui si incazza col pubblico) e nell'assoluta, conscia demolizione d'ogni sorta di forma canzone (tra avvitamenti di basso neoclassici, assoli Gilmouriani, urla hard rock). E' la chiusura di un album folle, che ha il nome a foggia di numero di telefono e che parte da nobili presupposti come l'esplorazione del tessuto di menzogne che l'uomo costruisce fin dalla nascita -per illudersi, nascondersi, proteggersi- ma che passa presto dal saggio psicologico al casuale vagheggiamento tra rievocazione di memorie, visioni sconsolate della Svezia moderna e della società in senso lato, rabbiosi deliri e rispettive esorcizzazioni affidate alla magia nera delle distorsioni, racconti di amicizie che nascono, amori che crescono e uomini che muoiono.

"And none of those buttholes out there
Really want anything new
So I just keep on cooking
This old familiar stew
And it's kind of rank..."

Facendo un passo indietro, a primo acchito, si ha la sensazione di percepire tanto, tantissimo di già sentito nella musica del quartetto capitanato da Rikard Sjoblom. D'avere a che fare con un'esecuzione nostalgica, magistrale e impeccabile ma non innovativa di una tradizione consolidatissima, dei capolavori più immortali del genere. Immediate associazioni d'idee portano ai Rush, quando i riff si tramutano in impietose percosse hard rock, facendosi armi asservite a direttissime denunce della malpolitica o a femministici parteggiamenti (rispettivamente in "King" e "Daughter/Whore", ipertrofiche eredi delle precedenti escursioni metallofile di "The Void", con voci rudi e manciate di psichedelia), o ancora paternalistiche e sarcastiche difese di bambini maltrattati da coetanei (in "Can You See Me Now?", dove affiora la scanzonata simpatia che aveva animato svariati episodi di "Mammoth"); ai Kansas, ai Van Der Graaf Generator o a Emerson, Lake and Palmer, quando trascinati da frizzantissime tastiere i brani sfondano le barriere degli 8-9 minuti e diventano suite esaltanti, freschissime, mai noiose; ai Camel, quando scaldate dagli overdrive le chitarre finiscono per sciogliersi in assoli eleganti, morbidissimi, emozionanti.

"Whoa! What the hell was that?!?"

Ma si percepisce, chiaramente, che i Beardfish son tutto meno che abili emuli, quando si oltrepassa d'un fiato una prog opera che supera senza imbarazzi l'ora di playtime. Quando si va oltre il drammatismo del perno del disco, il lunghissimo sogno ad occhi aperti "If We Must Be Apart (A Love Story)", dove organetti e voce si rincorrono in una corsa folle fino a un incredibile picco di sepolcrale teatralità, per poi venire cancellati dalla non-violenza d'un dolce arpeggio e di mesti bisbigli; quando si è completato il mosaico che risponde al nome di "The One Inside", assistendo al risorgere del suo stupendo tema ora grazie ai violini, ora grazie alle chitarre acustiche, ora grazie a synth, batteria e bassi distorti, sempre portati per mano dalla poliedrica voce dell'istrione Sjoblom.

"+4626-Comfortzone", per l'esattezza, non è un semplice riascolto di note da tempo memorizzate e facilmente categorizzabili; è un rivivere musicali sensazioni da tempo facenti parte soltanto di sbiaditi fotogrammi di tempi passati. Un po' come ritornare alla propria prima volta con il progressive. Un po' come ricominciare la propria storia d'amore fatta di dischi complessissimi e cervellotici, da riascoltare centinaia di volte -e ogni volta sempre felici di lasciarsi sfuggire qualche dettaglio, per potercisi immergere nuovamente-, da cui tirar fuori la colonna sonora dei propri viaggi in macchina come delle proprie ninne-nanne.

Un po' come se si tornasse allo stupore dell'ascolto del proprio primo grande classico. Perché forse, in effetti, è proprio davanti a un nuovo classico che ci si trova.



01. The One Inside Part One - Noise in the Background
02. Hold On
03. Comfortzone
04. Can You See Me Now?
05. King
06. The One Inside Part Two - My Companion Through Life
07. Daughter/Whore
08. If We Must Be Apart (A Love Story Continued)
09. Ode To The Rock'n'roller
10. The One Inside Part Three - Relief

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