Un vecchio detto popolare dice che se uno nasce tondo non può morire quadrato; allo stesso modo, un disco nato male e concepito allo stesso modo è destinato a restare tale, anche a distanza di anni. Questo vien da dire all'ascolto della reissue di "Believe In Nothing". Puoi cambiare la copertina, remixarlo, rimasterizzarlo, intraprendere ogni operazione di restyling umanamente concepibile con i potenti mezzi contemporanei, ma difficilmente questo ci restituirà un giudizio diverso da quello condiviso negli anni. E' quanto successo ai Paradise Lost che a pochi mesi da "Host" ripropongono al grande pubblico questa controversa release del 2001.

 

 

Come i fan più attenti sapranno, il disco in questione vide la luce nel momento più delicato nella storia della band e forse anche di alcuni suoi membri, i quali non hanno mai fatto mistero di aver passato all'epoca un periodo di forte depressione. Come suona riascoltato oggi, "Believe In Nothing"? Grosso modo uguale ad allora. E' un disco che riflette appieno le premesse, un'opera dai toni tristi a dispetto della veste radiofonica che le è stata data. Non stupisce col senno di poi, che il risultato in termini commerciali sia stato il classico buco dell'acqua, alimentato da una etichetta (la defunta EMI) che spingeva a tutti i costi abbracciare il mainstream una band che mainstream non era mai stata e soprattutto non aveva l'attitudine per diventarlo.

 

 

Eppure la opener "I Am Nothing", "Mouth", "Fader", "Divided" potrebbero apparire senza problemi su un qualsiasi disco dei Paradise Lost, magari sotto una veste di arrangiamenti diversa. Per il resto "Believe In Nothing" resta uno dei capitoli più discussi nella storia della band, e a nulla serve la nuova feste grafica, se non ad aggravare la reputazione di un'opera già irrimediabilmente compromessa. Un disco così meglio lasciarlo riposare in pace piuttosto che infierire. Avanti un altro.