Fondamentalmente conosciuto per la militanza negli Yes negli anni ’90 e per il recente ritorno come bassista in sostituzione del compianto Chris Squire, Billy Sherwood è in realtà un musicista di razza con alle spalle una ultratrentennale carriera di polistrumentista, produttore e compositore dal curriculum sterminato e arricchito da miliardi di collaborazioni (Toto, Deep Purple, Paul Rodgers, Motörhead sono solo esempi).
Giunge oggi all’ottava fatica da solista (il primo dopo la firma per la Frontiers), con un lavoro estremamente curato che, dopo il già convincente “Divided By One” (2014), decide di alzare ancora di più la posta in gioco e addentrarsi nel pericoloso terreno dei concept album. La narrazione scelta segue il viaggio secolare di un’anima perduta -“The Citizen”, il Cittadino- e delle sue reincarnazioni in differenti epoche storiche. Gustosi giri di basso, chitarra quasi fusion, e vocalizzi cristallini -tutti curati dallo stesso Sherwood, vero one-man band- guidano così dal declino dell’Impero Romano d'Occidente sino ai salotti di discussione insieme a Galileo Galilei e Charles Darwin, dagli orrori di trincea della Grande Guerra a quelli di finanza negli anni della depressione americana fino ad arrivare alle tensioni della corsa verso lo spazio e alle visioni di Nostradamus: in ogni stanza temporale si respira però quella comune e più pura aura magica di matrice prog, quella proibitiva sostanza Yes che solo pochi eletti hanno le capacità di evocare. La prova che Billy sia uno di essi è racchiusa senza riserve nelle undici tracce di questo disco decisamente fuori dall’ordinario, orchestrato su eleganti tematiche e suonato da signori musicisti: se infatti è il nostro musicista di Las Vegas ad occuparsi di tutto (batteria, chitarra, basso, voce e cori), in ognuna delle canzoni sono ospitati comunque innumerevoli amici e veri pezzi da novanta quali Steve Morse, Steve Hackett, Alan Parsons, Tony Kaye, Rick Wakeman e molti altri ancora. Il pregevole risultato è una miscela di effetti futuristici, fascino floydiano, soli di tastiera da far impallidire, arrangiamenti ricercati e dal taglio avveniristico: una vera opera neo-progressive di 70 minuti che lega bene ogni composizione in una variegata ed impressionante versatilità e rende davvero inopportuna l’individuazione separata dei momenti migliori. Personalmente posso dire di aver trovato davvero toccante e di una bellezza musicale sopra le righe proprio la cadenzata title-track di apertura, ultima registrazione in assoluto effettuata del leggendario The Fish, mr. Squire. L'influenza del grande bassista e mentore si avverte però per tutta la scaletta, il cui orientamento costantemente prende spunto proprio da quell’album composto in passato insieme, “Conspiracy”.
Non ne condivide probabilmente l’immediatezza di ascolto, seppur permeato in diverse occasioni da sonorità AOR e hard rock à la World Trade facilmente assimilabili. Serviranno a tutti infatti diverse sedute per apprezzarne degnamente il valore. Ma vi consiglio assolutamente di farlo perchè ha indiscutibilmente tutti gli elementi che contraddistinguono un grande lavoro: cuore, lignaggio e raffinatezza. Chapeau.