Black Tusk
Pillars Of Ash

2016, Relapse Records
Heavy Metal

Recensione di Roberto Di Girolamo - Pubblicata in data: 27/01/16

A seguito di un evento tragico come la perdita di un membro della band, i Black Tusk hanno deciso di usare le linee già registrate dal bassista Athon per completare i pezzi in fase di stesura e dare dunque vita al presente "Pillars of Ash". Con grande coraggio e dignità i restanti componenti hanno scelto di proseguire con un sostituto, dapprima solo per i live e poi in pianta stabile.

 

Il genere della band è uno sludge imbastardito con diverse influenze punk e hardcore. L'opener "God's on Vacation" è una discreta mazzata sui denti, e "Bleed On Your Knees" è un mid\up tempo verace che troverà vita facile nelle scalette dal vivo, infarcita da attitudine punk che più marcia non si può. "Born Of Strife" presenta delle brevi melodie che aiutano a distinguerla efficacemente dagli altri pezzi, mentre le brevi "Damned In The Ground", "Beyond The Divine" e "Punk Out" sono contraddistinte da pure coordinate hardcore punk, in controtendenza alle più durature "Black Tide" "Walk Among The Sky" e "Still Not Well".

 

Sfortunatamente la parte più interessante del lavoro è quella iniziale e la seconda parte presenta un vistoso calo qualitativo nel songwriting: a partire da "Damned In The Ground" si ha l'impressione che le cartucce migliori siano già state sparate, e l'incidere spesso confuso delle tracce più lunghe non fa che confermare questa ipotesi. Riscontrare una vistosa caduta di tono in un disco di 30 minuti circa abbassa notevolmente la potenzialità di un disco che si regge soprattutto sull' immediatezza. L'unico sussulto davvero sorprendente nella metà incriminata si ha nel pianoforte finale di "Leveling", che rappresenta la caratteristica forse più creativa dell'intero "Pillars of Ash".


Di sicuro la stesura e il rilascio dell'album non devono essere stati per niente semplici viste le circostanze, e forse questo ha contribuito ad una riuscita non perfetta del platter. Per fortuna, il prodotto è comunque confezionato bene e ben suonato, tenendo il livello generale entro certi limiti qualitativi.

La produzione è scolorita e granitica come si conviene al genere pur mantenendo una certa intelligibilità di fondo, soprattutto per quanto riguarda la batteria e le voci, mentre le chitarre sono sporche e slavate e il basso assolve al suo ruolo riempitivo con un suono grosso e oliato. Il lavoro svolto da Joel Grind dei Toxic Holocaust può senza dubbio dirsi adatto allo stile pur senza sacrificare i requisiti richiesti dagli standard e dal mercato odierni.

 

Concludendo, la prova dei Black Tusk è da promuovere, seppur con diverse riserve. Se amate particolarmente il genere aggiungete pure mezzo punto al voto sottostante; per quanto ci riguarda non possiamo non tener conto della già citata flessione centrale insita nell'album che ne impedisce, in definitiva, anche un vero decollo artistico.





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