Il primo verso di "Family Man" riassume perfettamente il mio stato d'animo ogni qual volta Steven Wilson decida di rilasciare del nuovo materiale, ma è d'obbligo ammettere che nel caso di "Blackfield V", l'approccio è stato per lo più caratterizzato da sentimenti contrastanti. Se è vero che il progetto Blackfield parte dalla singolare quanto azzeccata collaborazione tra due artisti come Wilson e Aviv Geffen, altrettanto rilevante è il fatto che gli ultimi due lavori abbiano decisamente deluso le aspettative, probabilmente anche a causa di una più scarsa partecipazione dell'ex Porcupine Tree. Il fatto che però l'uscita di questo quinto capitolo, già slittata rispetto all'iniziale indicazione di novembre 2016, sia fregiata in produzione della benedizione di un Re Mida della musica come Alan Parsons lascia sicuramente ben sperare.
Questa volta non si può sicuramente lamentare l'assenza di Steven Wilson. Due tracce tipicamente sue, come il già citato primo singolo, "Family Man" e "How Was Your Ride", dopo l'orchestrale apertura di "A Drop In The Ocean", sembrano messe lì per chiarire da subito il concetto. Il primo è un gran bel pezzo che porta con sé elementi nostalgici dei cari vecchi Porcupine, mentre il secondo sembra trarre ispirazione dai lavori più recenti di Steven, mostrando a pieno l'ormai precipua componente malinconica.
Ma Aviv? Faremmo un errore a pensare che la riuscita di un lavoro dei Blackfield sia direttamente proporzionale al solo contributo del genio londinese. La voce di Geffen, decisamente più cruda, assieme al suo forte accento mediorientale, ce lo ricordano a partire da "We'll Never Be Apart". Ma oltre che nella voce, la presenza dell'israeliano si avverte anche nel diffuso utilizzo del piano, che si percepisce in due pezzi profondi ed evocativi come l'acustica "Sorrys" e "October", interpretata da Steven ed arricchita anche dalla presenza di una sezione di archi.
"The Jackal" rappresenta un'energica parentesi di matrice blues, mitigata elementi floidiani, sia nel ritornello che nell'assolo finale, mentre la sperimentale "Lonely Soul", costruita sulla sezione ritmica, cattura mediante la ripetitività delle parole (giusto un po' nichiliste) del suo unico verso, grazie anche al contributo vocale di Alex Moshe. "From 44 To 48", atmosferica ultima chicca wilsoniana dell'album, è la perfetta conclusione di un disco che sicuramente ci lascia soddisfatti.
Due anni di lavoro, un'ottima produzione e il "ritorno" di Steven Wilson hanno fatto sì che "Blackfield V" prendesse infatti le distanze dai precedenti due capitoli, risultando più facilmente confrontabile con i fortunati esordi di questo progetto. Importante è, però, ricordare quanto i Blackfield non siano un progetto solista di uno dei due componenti, bensì un ponderato mix di due stili e background differenti, che risulta pienamente soddisfacente solo se ben bilanciato, come in questo caso.