Non c’è niente da fare. E’ quando la musica viene creata non per vendere ma quasi per necessità - quella forte, impellente, di urlare al mondo “io sono qui, ci sono anche io” - che allora riesce a toccare qualcosa dentro di te. Una parte pura, ancora vergine, perché niente prima di quel momento era riuscito ad arrivarci, destreggiandosi in un labirinto infinito di “voglio”, “dovrei”, “non posso”. Questo è quello che rende una canzone una bella canzone. Nell’album di debutto dei Bluoltremarte, “Spomenik”, non ci sono virtuosismi tecnici, non c’è tanto l’ambizione di stupire con un incredibile assolo di chitarra, quanto quella di arrivare a quella parte lì, piccola ma incredibilmente importante, isola deserta appena scoperta.
Nove tracce mai ripetitive, mai monotone, un intreccio di stili ed influenze diverse che confluiscono in un rock sporco, con cenni di pop e progressive. Testi intimistici, che per una volta lasciano perdere la banale critica al nostro paese, in un rincorrersi di luoghi comuni e omaggi a Berlusconi. E una voce ruvida che graffia le parole fino a fargli quasi male. Una “tragica commedia” in musica, ecco cos’è "Spomenik". La tragica commedia della buona musica - quella diversa, quella che ovviamente deve ancora crescere, deve ancora farne di strada, ma che cerca di costruire qualcosa di nuovo - relegata in un angolo buio, ricoperta di polvere e scatoloni pieni di successi scontati di artisti scontati. Che aspetta solo una possibilità. Cercate il video del loro primo singolo, “Bachi”, su Youtube; comprate il disco quando uscirà il 20 febbraio; andate a vederli live. Dategli la possibilità di uscire da quell’angolo buio e di ripulirsi dalla polvere.