L’importanza di Bob Mould per il mondo del Rock è così densa che si può toccare. La sua musica è riferimento, il suo estro è rassicurazione, la sua creatività è conferma dagli Husker Du ad ora: soprattutto, è nelle parole degli altri pezzi grossi – Dave Ghrol, che lo volle pochi anni orsono in apertura nel tour di Wasting Light, in primis – che si capisce quanto egli sia rispettato e ringraziato. Monument, lo è lui, lo è da diversi anni, potente e sovrastante nonostante la semplicità caratteriale che si trasla in studio, quasi timidezza fino all’approccio on stage. Perché è qui che bisogna conoscerlo, tagliente e spigoloso, seppur essenziale nella sua strumentazione ed effettistica.
Dai singoli Voices in My Head e Hold On, passando per Losing Time e You Say You, si intende immediatamente quanto Bob si sia innanzitutto divertito a registrare il nuovo Patch The Sky. Un disco quasi Pop in cui Mould riversa angoscia e pareri di chi può guardare il cosmo dall’alto ed esprimere, con musica orecchiabile e quasi ballabile, ciò che in passato era violenza e rabbia. Si sta lentamente addolcendo, col passare degli anni, l’artefice di "Zen Arcade", il primo incontro tra Hardcore di nicchia e Punk Rock di tutti. Era, ufficialmente, il 1984. Coerente e testardo, Bob Mould torna in auge con un disco veloce, limpido, fresco e positivo. Una tracklist forte come una cascata diventa un crocevia in cui emergono i lucenti fantasmi del passato di un artista prolifico e buono, che di uscita in uscita tende a farsi trascinare dal carisma dei suoi stessi testi. Il professore è tornato.