Bruce Springsteen
Magic

2007, Columbia Records
Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 05/08/13

Sono passati ormai tredici anni dall'acclamata reunion di Bruce Springsteen con la E-Street Band e non si può certo dire che il Boss si sia cullato sugli allori di una perpetua autocelebrazione. "The Rising", "Devils & Dust" e le "Seeger Sessions" costituiscono le tappe di un decennio prolifico in cui il Boss ha zigzagato fra vari stili, ora recuperando le sue origini, ora cercando di arricchire quel sound che lo ha consegnato alla leggenda. Nella produzione post-reunion "Magic" rappresenta il ritorno ai fasti degli anni '80, un disco che ancora qualche anno dopo la sua uscita, ricopre il ruolo di "grande incompreso". Proprio come accadde ai tempi di "Born In The U.S.A." Springsteen rispolvera lo stile che lo ha reso famoso per raccontare le vicende oscure di un'America sofferente, ora imprigionata nell'inferno dell'Iraq, sopravvissuta all'11 settembre e che si appresta a vivere, sua insaputa, uno dei momenti più bui della sua storia.

"Radio Nowhere", potentissimo singolo apripista, è un colpo in faccia al suo paese e alla solitudine dell'era multimediale: "Questa è Radio Nulla/ c'è qualcuno là fuori?". Fra muri di chitarre e una ritmica incalzante fa capolino una vena di malinconia, di paura del futuro. "Magic" è il racconto di un paese impegnato a contare i soldati morti sul campo e che inizia a vedere qualche crepa nella sua proverbiale fiducia nel futuro. La riuscita solarità di "You'll Be Coming Down" e "Livin' In The Future" stempera i toni, mentre "Your Own Worst Enemy" con il suo splendido arrangiamento d'archi, "Gipsy Biker", "Last To Die" e "Long Walk Home" (gettonattissima nelle setlists del Boss) formano la triade del ritorno a casa dei propri figli, in cui si materializzano gli incubi dell'America contemporanea. In mezzo a tanti incalzanti brani rock come il Boss non regalava da tempo spuntano due splendide ballate. "Girl In Their Summer Clothes" rievoca suggestioni adolescenziali su atmosfere mutuate da Roy Orbison e dal rock degli anni '50. Dietro una delicata chitarra acustica e una melodia che richiama "The Ghost Of Tom Joad", la title track nasconde invece una visione apocalittica del futuro americano attraverso immagini piuttosto forti.

E' questo lo spirito che si cela dietro il disco, una sorta di grande festa con gli incubi che si materializzano all'orizzonte ("Lungo la strada il sole tramonta lentamente/ corpi appesi agli alberi") e destinati a diventare realtà. Da lì a un anno sarà l'America di Lehman Brothers e dei mutui subprime, e Springsteen impiegherà poco tempo per raccontarcela, ma "Magic" è un'altra storia, un disco pregno di un'energia forse inaspettata per un artista quasi sessantenne, un'autentica scossa di energia, degno erede di capolavori come "The River", "Darkness On The Edge Of Town" e "Born To Run". Il disco venne massacrato quasi all'unanimità da certa stampa specializzata, che lo definì nella migliore delle accezioni "una semplice collezione di canzoni". Fu rimproverato a Springsteen di limitarsi a fare lo Springsteen, come se questo costituisse un problema e non il sogno, per esempio, di decine di band che sarebbero pronte ad uccidere per scrivere il peggiore dei brani contenuti in questo disco. "Continuerò a suonare finché non mi verranno le piaghe" dice il diretto interessato, "e forse ancora un po'". Che Springsteen continui pure a scimmiottare se stesso e a regalarci dischi come questo.




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