Bullet For My Valentine
Gravity

2018, Spinefarm Records
Metalcore

Recensione di Dario Fabbri - Pubblicata in data: 08/07/18

Gli autori di "Gravity" possono essere pensati come una nuova versione dei Bullet For My Valentine. Sia per i recenti cambi di formazione (l'addio dello storico batterista  Michael Thomas in primis) sia per il fatto di aver stravolto in modo consistente il proprio sound, i nostri sembrano quasi una band diversa rispetto a quella che ha pubblicato "Venom" nel 2015, ripresentandosi con un cambio di stile che era stato richiesto sia da una parte dei fan della band sia dalla critica specializzata, poiché la proposta musicale dei Bullet è stata per molti anni più o meno la stessa.

 

Il gruppo capitanato da Matt Tuck (voce e chitarra ritmica) e Michael Paget (chitarra solista, leggi la nostra recente intervista!) ha avuto il pregio di non andare sul sicuro e di azzardare suoni e strumenti mai provati prima, ma i richiami a band come i Bring Me The Horizon e gli Asking Alexandria sono a tratti più che evidenti. Sin dall'opener "Leap Of Faith", chi ascolta percepisce perfettamente la svolta verso un sound più soft e pop-oriented mescolato a qualche elemento caratteristico del gruppo, come i breakdown nelle parti finali delle canzoni e la forte orecchiabilità dei ritornelli. La prima parte del disco è composta da brani godibili e ben composti, ma l'unico che lascia veramente il segno è il singolo "Over It", il quale presenta il miglior mix tra le sonorità più aggressive tipiche del passato e quelle più melodiche ed elettroniche che caratterizzano il nuovo disco. Un brano totalmente sperimentale è "The Very Last Time", una ballad che fa leva su una delle migliori strumentali del disco, un connubio tra chitarre, synth e archi molto piacevole e di grande qualità, anche se la prova vocale di Matt Tuck non è altrettanto convincente e risulta essere il punto debole della canzone. In "Piece Of Me" è invece proprio il frontman a salvare la canzone dalla monotonia e dalla ripetitività, regalando all'ascoltatore una performance di buon livello. Se la prima parte del disco è abbastanza omogenea, con qualche alto e basso, non si può di certo dire la stessa cosa della seconda metà: "Under Again" e "Gravity" sono i due brani meno riusciti del lotto, mentre "Coma" e il singolo "Don't Need You" sono tra le migliori, soprattutto quest'ultima, che è la più simile al vecchio sound dei nostri (anche perché è uscita come singolo ben due anni fa). Per quanto riguarda "Coma", il punto forte è l'ottimo uso dell'elettronica, che risalta il cantato di Tuck e si fonde molto bene nel ritornello con gli altri strumenti, mentre "Under Again" sembra in tutto e per tutto una canzone della band di Oli Sykes, con un ritornello fin troppo orecchiabile. La title track "Gravity" ha un buon inizio, con un'equilibrata combo di chitarre e archi, ma purtroppo scade in un ritornello piuttosto debole e poco originale, risultando a tratti fin troppo scontata. Se "The Very Last Time" è una ballad coraggiosa, la conclusiva "Breathe Underwater" ne presenta gli elementi più classici e, anche in questo brano, è la base a fare la differenza.

 

Il nuovo percorso dei Bullet For My Valentine risulta efficace solo in parte: l'uso dell'elettronica e degli elementi Pop a volte risalta la canzone, a volte  invece banalizza il lavoro dei musicisti. Altre volte ancora sono proprio gli elementi caratteristici della band, come gli scream o i breakdown, ad alzare il livello dei brani (in "Leap Of Faith" o "Piece Of Me" questo fatto è evidente). "Gravity" è un disco da apprezzare per le varie sfumature che presenta, per le decisioni difficili che la band gallese si è sentita di prendere anche quando sarebbe potuta andare sulla strada già battuta. Sono proprio queste decisioni però che, nel bene e nel male, rappresentano l'anima di questo disco.





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