Eh già, si sentiva davvero il bisogno di un disco così. Peccato sia uscito con “soli” dieci anni di ritardo! Non sto scherzando, se fossimo ancora nel 2004 “Runes”, terzogenito dei britannici Bury Tomorrow, avrebbe sicuramente guadagnato un discreto numero di allori tra quelli avanzati alle gemme metalcore del periodo, su tutti “The End Of Heartache” dei padrini spirituali del genere, gli arcinoti Killswitch Engage, e “Shadows Are Security” (che a voler essere pignoli è del 2005, ma serve per rendere l'idea del terreno sul quale ci stiamo muovendo) degli As I Lay Dying, altro gruppo fondamentale per il metal del nuovo millennio.
Ma, appunto, siamo agli inizi di maggio del 2014, e un album che ricalca senza farsi troppi problemi quanto fatto una decade fa da altre band (in particolare quelle citate poco sopra) non ha molto senso, a mio parere. Dopo aver fornito i riferimenti, non ci sarebbe neanche bisogno di descrivere come suona questo “Runes”: comunque sia, gli ingredienti tipici ci sono tutti. E allora via con gli arpeggi distorti che introducono le canzoni (come nel singolo “Man On Fire”), i riff e le armonizzazioni che fotografano un'adolescenza passata ad ascoltare fin troppo gli stessi As I Lay Dying e tanto melodic death di stampo In Flames, o gli immancabili breakdown, ormai il cacio sui maccheroni nel mondo metalcore (sì, peccato che la pasta sia scotta da tempo...). Un po' ovunque saltano fuori i ritornelli melodici, forse la parte più apprezzabile del disco, perché la voce pulita del chitarrista Jason Cameron è convincente e le melodie sono piuttosto accattivanti (memorabile in particolare l'anthemica chiusura affidata a “Last Of The Ice”); dall'altra parte le harsh vocals del frontman Daniel Winter-Bates non sono certo tra le migliori del genere, dato che il suo timbro non riesce a trasmettere la potenza di altri ben più quotati colleghi.
Nessun dubbio sulla produzione, scintillante come mamma Nuclear Blast ci ha ormai abituato, e capace di regalare qualche punto in più ad un disco che difficilmente farà il botto, data l'ormai certa implosione del mercato in cui si colloca. E un altro difetto è l'eccessiva lunghezza del platter, che con ben tredici brani si attesta sui 50 minuti di durata: in un album in cui la varietà delle composizioni non è troppo contemplata – lo schema è sempre quello, riff-strofa-ritornello-breakdown – si rischia di arrivare a metà del disco già saturi.
L'assenza di quei due o tre pezzi davvero memorabili, al di là delle soluzioni ripetitive e fin troppo dentro gli schemi del genere, è un punto debole importante, poiché con un paio di grandi singoli introduttivi i Bury Tomorrow avrebbero potuto aprire qualche breccia in più tra gli aficionados del metalcore. Invece il disco, come detto, è eccessivamente piatto e derivativo, senza quel mordente che invita a riascoltarlo e senza il mestiere con il quale altre band più scafate riescono a sopravvivere anche in carenza di grande ispirazione. Ancora una volta, nomen omen: se comprate “Runes” oggi, lo potete anche sotterrare domani. Peccato però che dalla plastica non nasca niente...
Bury Tomorrow
Runes
2014, Nuclear Blast
Metalcore
01.Man on Fire
02.Shadow, a Creator
03.The Torch
04.Watcher
05.Our Gift
06.Darker Water
07.Another Journey
08.Under the Sun
09.Year of Harvest
10.Garden of Thorns
11.Divine Breath
12.Of Glory
13.Last of the Ice