Callisto
Secret Youth

2015, Svart Records
Post Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 14/02/15

Cosa succede ad un gruppo quando, pubblicato un album, fa perdere le sue tracce? Cosa succede in quel lasso di tempo in cui gli unici momenti attivi sono quelli di una pagina Facebook che tende a precisare che la band in questione è ancora solida e non frantumata in mille pezzi. Succede che la musica a volte è come una grande damigiana di semplice mosto che deve prender tempo per dare il risultato sperato, lo stesso che colora i nostri bicchieri di buon vino. Pochi artisti possono permettersi il lusso di pubblicare album a distanza ravvicinata. Sapete, è sempre meglio diffidare di quei musicisti che annualmente danno alle stampe qualcosa; nel vano tentativo di vender ad ogni costo cercheranno di convincere chi sta dall’altra parte che anche a questo giro, il nuovo nato, è ancora il miglior lavoro della carriera, è lo stesso musicista che cerca di convincersi. Ma tornando a noi, se si parla di band che scompaiono nel nulla, beh, è proprio il caso di prender in esame i finlandesi Callisto.

 

Li avevamo lasciati tra le alte fiamme di quel “Providence”, fra le dinamiche passionali di brani come “Rule the Blood” o “Where the Spirits Tread” e poi, il nulla. Qualche mese fa, un nome pone fine al lungo silenzio durato ben sei anni e quindi eccoci qui, a parlare del nuovo “Secret Youth”. Con un lasso del tempo di questo tipo, è normale che le aspettative riguardo alla band s’innalzino a tal punto da pretendere il capolavoro ma senza guardarci indietro e senza fasciarsi le testa, ci mettiamo all’ascolto in tutta calma. Notiamo subito che l’atmosfera generale è ermetica, crepuscolare e poco avvezza alle passioni più carnali, gelida in confronto al suo predecessore. Riscopriamo quasi subito anche il timbro di Jani Ala-Hukkala (“Pale Pretender”) che, come in passato, non delude ma si mantiene ferreo sempre e solo su di una posa vocale, sì colorata ma senza mai cambiare o alternare registro, eccezione fatta per l’uso a crudo dello screaming, sempre incisivo, figlio della robustezza sonora dei Cult Of Luna. Neanche a farlo apposta, arriva “Backbone” che da sola potrebbe reggere tutte le piccole mancanze di questo nuovo lavoro; le dinamiche strumentali delle volte risultano ridondanti e poco ispirate, le già citate monotematiche scelte del vocalist non aiutano e solo pochi passaggi si salvano dalla totale disperazione d’aver aspettato qualche anno per un sound che non si capisce bene che evoluzione ha avuto. A volte sembra di aver davanti una band che ha preso la via del passo del gambero, un passo avanti e due indietro. Altre volte invece, arrivano interessanti conferme (le granitiche linee di basso di “Lost Prayer”) che ci accompagnano sani e salvi sul finale di una “Dam's Lair Road” che decreta che il lavoro svolto non è certo ciò che ci aspettavamo, insomma un mezzo passo falso per una band che può dare molto di più.




1. Pale Pretender
2. Backbone
3. Acts
4. The Dead Layer
5. Lost Prayer
6. Breasts of Mothers
7. Grey Light
8. Ghostwritten
9. Old Souls
10. Dam's Lair Road

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