Un po' per non perdere lo slancio, un po' favoriti dallo stop pandemico, gli Acid Mammoth tornano sulla scena dello stoner/doom più elefantiaco e allucinato con un terzo album, "Caravan", che segue, a distanza di appena dodici mesi, il discreto "Under Acid Hoof". Due album vicini nel tempo e che, inevitabilmente, appaiono legati a doppio filo, dal sound come dagli zannuti mammut in copertina, qui moltiplicati di numero rispetto all'unico effigiato sull'artwork dello scorso lavoro. Nonostante le evidenti somiglianze, il nuovo disco dei Babalis padre e figlio, ancora una volta edito sotto l'egida della nostrana Heavy Psych Sounds Records, va considerato alla stregua di un sequel cupo e minaccioso, nel quale i riferimenti a pioggia agli Electric Wizard, ai Kyuss, agli Sleep e soprattutto ai Black Sabbath, dominano i brani senza, però, soffocarli troppo.
Che le influenze del passato abbiano comunque un certo peso nell'economia dello stile dei greci, ce ne accorgiamo sin dal brano iniziale, "Berserker", aperto da una risata satanica in odore "Sweet Leaf" (o "The Writ" se preferite); soltanto un breve assaggio, dal refrain estremamente orecchiabile, di quello che sarà il resto dell'album, gravido di pezzi tumidi e visionari. "Psychedelic Wasteland" e "Ivory Towers", cavalcate lisergiche alimentate da motori fuzz, preparano a loro volta il campo alla pantagruelica title track: la lenta introduzione dronica, il bridge guidato da un basso supereffettato, il riff centrale dall'irresistibile carica groovy, il lungo finale acido, sembrano davvero riprodurre il percorso di una carovana nomade tra le luci accecanti del deserto, con la voce ozzyana di Babalis junior a menare occulta le danze. La chiusa "Black Dust" può considerarsi una dilatazione desert/space della traccia precedente, capace di teletrasportare gli enormi pachidermi preistorici oltre i limiti conosciuti del cosmo.
Gli Acid Mammoth, già inseriti in un panorama ellenico fecondo di ottime realtà di settore (1000mods, Nightstalker), confermano, con "Caravan", che, malgrado l'originalità non rappresenti una virtù da esporre in vetrina, il loro lo sanno fare. E bene anche.