Carcass
Surgical Steel

2013, Nuclear Blast
Death Metal

Un ritorno atteso diciassette anni, i Carcass non profanano il proprio glorioso nome
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 09/09/13

Ci sono voluti diciassette anni, ma finalmente ci siamo, è tra noi un nuovo album di inediti per i Carcass. Un disco che per molti è l’esaudimento di accorate preghiere, dopo uno scioglimento tanto doloroso avvenuto nel 1996 e il ritorno live nel 2007.

Per una band dal nome e dal lascito così importante, le “operazioni ritorno” giocano la partita esclusivamente sul piano emotivo, lo è stato per il recentissimo “13” dei Black Sabbath, per “All Shall Fall” degli Immortal (giusto per rimanere nel roster Nuclear Blast) e lo sarà anche per la prossima in predicato (se volessimo puntare un euro, diremmo Emperor). Non ce n’è, i rumors, le voci, le anteprime su questi mostri sacri emozionano e fanno discutere più di tante “vere” novità, il che denota lo stato comatoso di buona parte dell’heavy attuale. Superato il pathos, la musica poi assume una relativa importanza, ben sapendo la natura (economica) di questi ritorni, oltre al fatto di non poter aspettarsi nulla di clamoroso, ma solo buon materiale da non infangarne il nome.

Missione compiuta. Che i Carcass avessero molto più sale in zucca di altri colleghi, vedi la sciagurata banda Davide Vincenzo e il loro “Illud Divinum Insanus” (come sputtanare una carriera e farsi sbertucciare dal web), era già una garanzia per un disco che fosse carcassiano a tutti gli effetti, che mettesse a proprio agio ascoltatori giovani e meno giovani. “Surgical Steel” in sostanza è tutto qui, un pugno di brani ben costruiti e suonati, che nulla aggiungono (ma nulla tolgono, per fortuna) a quello che i Carcass ci hanno dato a partire dal 1985, anno della formazione della band inglese. Come dichiarato dallo stesso Jeff Walker in sede d’intervista (a breve su queste pagine), il compito dei Carcass era di fare un disco convincente, con la consapevolezza di non poter portare nulla di nuovo al proprio sound.

Tanta chiarezza nelle sue parole, tanta chiarezza alla luce dei fatti, “Surgical Steel”, si piazza temporalmente nell’era “Heartwork”, quindi un death metal melodico che coniuga bene potenza e melodia, con alcuni riferimenti a “Necroticism – Descanting the Insalubrious” ed al canto del cigno “Swansong”. Una scelta saggiamente conservativa, che ha permesso la scrittura di un album più che dignitoso, sempre filante, massiccio, trascinante con aperture melodiche se vogliamo fin troppo marcate (“The Granulating Dark Satanic Mills” sembra scritta dagli Iron Maiden, pronta per una folla da stadio). Insomma avete capito, il nome Carcass non è stato profanato.

In mezzo all’entusiasmo alcune cose vanno però sottolineate. Per prima cosa troviamo la produzione, un lavoro a quattro mani di Andy Sneap e Colin Richardson, fin troppo pulita, quasi senza spessore, priva di quel pizzico di “grezzume” che tanto si addicerebbe agli inglesi. In questo contesto diventa ancor più evidente lo scarto tra il nuovo batterista Daniel Wilding e lo storico e sfortunato Ken Owen (ricordiamo la sua emorragia cerebrale e il seguente coma). Wilding cerca in alcuni casi di ricalcare il predecessore, ma sia il tocco, sia, ahinoi, la scelta dei suoni non rendono giustizia al suo lavoro. Per ultimo, avvertiamo la mancanza di una canzone killer, in grado di elevare tutta la tracklist. I brani sono godibili e scivolano via bene, ma, almeno nei primi ascolti, sembra quasi di ascoltare una delle migliaia di band che sono nate dalle ceneri dei Carcass, piuttosto che gli originali, tanto siamo assuefatti dal “carcass sound” di alta/media/bassa lega delle leve più giovani. Manca il guizzo, il colpo d’ala che li rese grandi un tempo, ma dopo una pausa di diciassette anni possiamo perdonare un po’ di ruggine nel songwriting (che non c’è nelle prestazioni singole di Steer e Walker, impeccabili).

Che dire in conclusione. Il passato non ritorna e “Surgical Steel” non può che soccombere col resto della produzione passata, un disco di cui probabilmente non ci ricorderemo più tra qualche tempo, ma che per un istante ci fa ritornare più giovani, quando la musica (e probabilmente noi stessi) era diversa, più sentita, più profonda. più importante. Non resta di vederli dal vivo in autunno di spalla agli Amon Amarth (stendiamo un velo pietoso) e di godere della classe di questi musicisti straordinari.



01.1985

02.Thrasher's Abattoir

03.Cadaver Pouch Conveyor System

04.A Congealed Clot of Blood

05.The Master Butcher's Apron

06.Noncompliance to ASTM F 899-12 Standard

07.The Granulating Dark Satanic Mills

08.Unfit for Human Consumption

09.316 L Grade Surgical Steel

10.Captive Bolt Pistol

11.Mount of Execution

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool