No, non siamo di fronte all'ennesimo supergruppo che ricicla materiali preesistenti delle band di provenienza: i Tronos, la creatura del bassista dei Napalm Death Shane Embury, coadiuvato per l'occasione dal produttore Russ Russell e dalla batteria di Dirk Verbeuren, non guardano, come istintivamente potrebbe parer logico, al mondo death/grind, facendosi invece portavoce di un sound articolato e meno canonico del previsto. Impreziosito da un parterre di ospiti di primo livello, tra le cui fila occorre citare Denis ‘Snake' Belanger, Billy Gould, Erica Nockalls, Dan Lilker e Troy Sanders, il debut album dei nostri, "Celestial Mechanicals", bascula ondivago e borderline: la mistura suona discretamente riuscita e a tratti anche abbastanza originale, ma risulta innegabile che sovente il lotto scivoli in una terra di nessuno ove riesce difficile comprendere appieno la direzione intrapresa dal terzetto.
Sin dalla traccia iniziale, "Walking About The Dead Things", le carte in tavola appaiono sintomatiche: nella continua altalena che vede un extreme metal dalle cadenze oscure e massicce dialogare con sezioni melodico-futuristiche e aprirsi a sulfurei passaggi sludge-psych, è la ritmica a sette corde il vero collante del singolo brano e dell'intero disco. In effetti tocca ai chitarroni e ai pattern meccanici e disumanizzanti degni dei Fear Factory dare un senso al ritualismo macilento di "Judas Cradle", pista che, malgrado esali sostanze venefiche, non si spinge, vuoi per prudenza, vuoi per estrazione dei musicisti coinvolti, sin nell'abiezione più profonda.
Le velleità dark ambient vengono tenute a bada, accennate magari ("The Past With Whiter And Die") o ridotte recalcitranti all'obbedienza ("A Treatt With Reality") o, ancora, esplorate con giudizio ("Voyeurs Of Nature's Tragedy"). I flirt con il black in "The Ancient Deceit" e "Birth Womb", pezzi non alieni comunque da prolisse deviazioni proggy, riscattano alcune disomogeneità stilistiche; poi, però, "Premonition" e "Beyond The Stream Of Consciouness", pur suggestive, sembrano degli outtakes di "The Wake" (2018) dei Voivod. E così, a salvare la baracca, pensa l'intensa cover sabbathiana "Johnny Blade", che chiude in gloria cibernetica un lavoro non sempre all'altezza delle aspettative.
Non mancano groove e potenza in "Celestial Mechanicals": peccato che i Tronos intingano l'opus in una spezieria di generi soltanto approssimativamente avant-garde, depurandolo oltretutto dei suoi necessari lineamenti insalubri e selvatici. La malsana alleanza anglo-belga, forse, spara troppo a salve.