Celtic Frost
Into The Pandemonium

1987, Noise Records
Avantgarde Metal

L'opera che ha cambiato le regole della musica estrema
Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 12/04/13

Il capolavoro dei Celtic Frost è nato, come tutto ciò che vive di vita propria, tra i travagli di un parto difficile: tensioni e diverbi tra la band e la casa discografica resero disagevoli i quattro mesi di registrazione; il nome del secondo chitarrista Ron Marks, a lungo voluto ma reclutato troppo tardi, non poté figurare nei credits dell’album; soprattutto il gruppo era assillato dal timore di aver ecceduto nelle sperimentazioni, danneggiando irreparabilmente la propria carriera. Timore che sembrò drammaticamente confermato dalla ricezione tiepida che il nuovo, spiazzante lavoro riscosse nei primi mesi dalla sua uscita. Visto oggi, in retrospettiva, “Into The Pandemonium” appare fulgidamente come il disco che ha cambiato non solo la carriera dei Celtic Frost, ma la storia stessa del metal estremo. Alla sua uscita seguì il tour più importante che la band avesse mai affrontato; lentamente, ma con sempre maggiore chiarezza, stampa e audience iniziarono a comprendere il valore del nuovo materiale, mentre il moniker del gruppo veniva, da quel momento e per sempre, associato al termine “avanguardia”. L’influenza dei Celtic Frost crebbe incessantemente, tanto che dal 1989 ad oggi non si contano più le formazioni che nutrono un debito smisurato verso gli artefici del rivoluzionario “Into The Pandemonium”.

Avvicinarsi a quest’album significa entrare in contatto con una vera e propria opera d’arte, un corpus complesso e perfino arduo da dischiudere, ma che, una volta compreso, non smette di brillare della luce intensissima dell’ispirazione. L’opener “Mexican Radio”, cover degli strani Wall Of Voodoo, è incalzante ma insolitamente leggera per il combo nato dalle ceneri degli Hellhammer, e tuttavia non lascia ancora presagire le innovazioni che seguiranno. È con “Mesmerized” che la trance ha inizio: atmosfere doom, lente e inebrianti, avvolgono l’ascoltatore in un aura sfuggente, mentre una voce femminile ricama suggestioni lontane. Anche la voce di Thomas Gabriel Warrior è insolita: singer scarsamente dotato, riesce a sopperire ai propri limiti con l’estro compositivo, cantando ora in modo lamentoso e quasi stentato, ora alla maniera brutale degli Hellhammer, o ancora al modo cantilenante ed effettato di Stan Ridgway, frontman dei Wall Of Voodoo. “Inner Sanctum” eleva al sommo della padronanza lo stile aggressivo dei primi tempi, giocato su ritmiche di impostazione thrash e perfetto per un headbanging sfrenato. Ma la sfrenatezza è, in questo disco variegato eppure coeso sotto l’egida dell’innovazione, preludio all’estasi dei sensi: in “Tristesse De La Lune” (brano originariamente riservato al mercato americano) le vibranti partiture d’archi e la seducente voce femminile regalano una struggente trasposizione musicale della lirica di Charles Baudelaire. Siamo ormai nel vivo della sperimentazione dei Celtic Frost, che alla furia degli inizi hanno sorprendentemente mescolato le atmosfere dei sogni all’assenzio e della lucidità onirica. Da questo pezzo superbo, così come dalla copertina che reca un dettaglio del visionario pittore Hieronymus Bosch, o ancora dalle suggestioni orientali che impreziosiscono i testi, emerge tutta la cultura decadente di cui “Into The Pandemonium” è innervato. Una cultura che si distilla in note e impressioni, per offrire all’ascoltatore suggestioni ricche e ammalianti come i quadri di Gustave Moreau. “Babylon Fell (Jade Serpent)” e “Caress Into Oblivion (Jade Serpent II)” sono l’ideale connubio tra la potenza delle chitarre elettriche, stridenti in assoli distorti e frenetici, e gli incanti orientali di voci salmodianti, percussioni tribali e omelie da ayatollah. Qui è il basso di Martin Eric Ain a fungere da tramite, ora erompendo brusco, ora dialogando morbidamente con le voci esotiche e le percussioni. Il pezzo di più ostica assimilazione è forse “One In Their Pride”, in cui una drum machine e vari effetti elettronici apportano un ulteriore, inaspettato cambio di direzione. Le pregevoli “I won’t dance”, e “Sorrows Of The Moon” (che nella prima tiratura europea sostituiva “Tristesse De La Lune”) preludono a “Rex Irae”: archi, corni, percussioni digitali e chitarre elettriche sostengono il duetto tra la voce dolente di Thomas Gabriel Warrior e quella suadente di Claudia-Maria Mokri. Questo brano sa destare, nelle orecchie e nello spirito, una fantasmagoria onirica di raro fascino, mostrando anche come “Into The Pandemonium” brilli per i testi evocativi, in grado di trattare le cose supreme in una forma enfatica quanto nitida. Infine la greve “Oriental Masquerade”, in cui la sezione classica fa da padrona, congeda torbidamente l’ascoltatore.

Quattro bonus tracks arricchiscono la ristampa del 1999 e permettono di addentrarsi ancor di più nell’afflato sperimentale che permea questo lavoro immenso, volto all’ideazione e allo sviluppo di un’idea nuova di musica estrema. Con questo disco le partiture orchestrali e le vocals femminili s’imposero a tutto un genere; ma soprattutto la sperimentalità nel metal fu definitivamente sdoganata, aprendo la strada alla genesi di opere geniali e avanguardistiche. I Celtic Frost meritano i più sinceri omaggi di ogni amante dell’inventiva musicale e di ogni esteta: snobbare quest’album è quasi un’offesa all’arte.



01. Mexican Radio (Wall Of Voodoo cover)
02. Mesmerized
03. Inner Sanctum
04. Sorrows Of The Moon
05. Babylon Fell
06. Caress Into Oblivion
07. One In Their Pride
08. I Won’t Dance
09. Rex Irae (Requiem)
10. Oriental Masquerade

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool