Negli ultimi cinque anni, i Drug Church hanno trasmesso all'hardcore punk una nuova energia, contando su un songwriting piuttosto originale, almeno per gli standard del genere, e sulla voce impressionante di Patrick Kindlon: la constatazione che il loro terzo album, "Cheer", cambi direzione rispetto ai lavori precedenti, non può non prescindere dall'accasamento dei nostri sotto l'egida della Pure Noise Records. La band, infatti, flirta a carte scoperte con la melodia, pur non abbandonando del tutto le radici selvatiche degli esordi: un sound diverso e familiare, oscuro e bizzarro, capace di lasciare al tempo stesso interdetti e affascinati e che, nel bene come nel male, rappresenta la testimonianza di una formazione riottosa all'incasellamento e alla normalizzazione.
Se i novantotto secondi dell'opener "Grubby", caratterizzata dai mugghi striduli del singer disseminati ovunque, compendia, con gusto spigoloso e salace, Ramones e Green Day, i brani seguenti chiariscono che è il pop rock ad alimentarne la natura strutturale: anzi, volendo spingersi più a fondo nell'analisi, il combo prende di peso il grunge e i suoi derivati rileggendoli in chiave sardonica e provocatoriamente filologica, soprattutto quando si tratta di alternare gli schiamazzi del ritornello alla mansuetudine delle strofe. In effetti "Strong References" e "Avoidarama" sembrano scritte da Black Francis prestato per un attimo agli Screaming Trees meno autocommiserativi e anche "Dollar Story" e "Weed Pin" non si discostano poi molto dalla scia tracciata, adagiandosi su un ritmo stranamente narcolettico punteggiato da brevi esplosioni di acidità. Certo, resta lo spazio per una "Unlicensed Hall Monitor" da grido liberatorio dopo una giornata stressante, ma con "Conflict Minded" e "Tilary" il gruppo torna a quel misto di svogliatezza, rabbia e umorismo nero in cui a volte appare difficile delineare il confine tra la strizzatina d'occhio furbesca e l'ansia apotropaica.
In conclusione, benché "Cheer" si ascolti volentieri, non cagioni sonnolenza, diverta e faccia pensare, non si può negare che in alcuni momenti il disco perda in dinamismo e creatività, procurando qualche rimpianto per i Drug Church corrosivi ed essenziali del passato: complimenti, comunque, per l'anabasi stilistica.