Fu Manchu
Clone Of The Universe

2018, At The Dojo
Stoner

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 18/02/18

Non esiste una band simile ai Fu Manchu nel panorama stoner. Attivi sin dal 1987 con il nome Virulence, stabili nella formazione attuale dal 2002, influenti al pari di Kyuss e Monster Magnet nel foggiare un genere fecondo per innumerevoli epigoni, i nostri stringono oramai saldi un timone dalla rotta ben definita. Tuttavia, se indubbiamente il sound degli statunitensi non ha subito particolari stravolgimenti nel corso degli anni, l'album del 2014 "Gigantoid" traeva vantaggio da un pugno più conciso di piste rispetto al passato e da una maggiore ricerca di fluidità connessa a un rallentamento del ritmo, affacciandosi quasi in territori sludge. "Clone Of The Universe" ricalca le stesse orme del lavoro precedente, mostrando come delle semplici variazioni inserite nell'usuale canovaccio possano dar luogo a un'opera ricca di groove e scioltezza anche in sorprendenti e anomale partiture che schiaffeggiano l'abituale 4/4.

 

Annunciato in uscita nel 2015, ma ripetutamente rinviato, il nuovo LP dei californiani serve a tavola un'altra serie di squisite pietanze degne di un monicker davvero in gran forma: il classico set del lotto viene arricchito da un approccio dinamico nei cambi di tempo, lasciando sullo sfondo la tipica linearità hardcore, una delle matrici sonore appartenenti al background del quartetto. "(I've Been) Hexed" e "Slower Than Light" rappresentano notevoli esempi dell'inedito orientamento: mentre il primo brano alterna chorus ascensionali e solo selvaggi in una riuscita dialettica call&response, il secondo cresce adagio, plasmato dalle sobbalzanti linee di basso di Brad Davis e dalle chitarre che ricamano delicatamente l'ordito, finché le evoluzioni orbitali delle sei corde amplificano la propria potenza e, circolari, si allacciano all'hook principale. Gli ultimi sessanta secondi volteggiano all'insegna di un rock frenetico e martellante: non ci troviamo di fronte a drastici mutamenti, bensì a lievi e salutari modifiche negli interstizi di una solida struttura portante. Nel frattempo, la title track e "Nowhere Left to Hide" fanno del loro meglio per non deviare dalla direzione intrapresa, ergendosi a tracce gemelle caratterizzate da fraseggi in staccato, gommosi stop&go e accenni funk, con la voce indolente di Scott Hill a menare le danze: al contrario la cosmica opener "Intelligent Worship" e il punk pachidermico di "Don't Panic" costituiscono la facies tradizionale del gruppo.

 

In chiusura i diciotto minuti de "Il Mostro Atomico" operano da cerniera significativa del platter: la collaborazione inaspettata di Alex Lifeson dei Rush genera un Minotauro dalle molte sfaccettature, con i musicisti concentrati sulla parte strumentale anziché sui testi. Un torrido drone iniziale combinato a un'effettistica distorta tracima morbido in un segmento lunatico profumato di psichedelia durante il quale le trame heavy intrecciate dai tom della batteria di Scott Reeder aprono la strada a diverse transizioni capaci di trasportare l'ascoltatore verso il fulcro del pezzo: momento topico in cui irrompono con rilevante enfasi le peculiari cascate di riff al nandrolone della coppia Hill/Balch, sfumanti poi in una coda progressive in grado di espandersi oltre i limiti imposti dalla durata del disco.

 

Senza scomodare i vecchi capolavori, "Clone Of The Universe" di certo non sfigura nella produzione dei Fu Manchu, abili nell'evitare le sabbie mobili della stanca ripetizione di polverosi cliché: motore a pieni giri per i veterani del fuzz.





01. Intelligent Worship
02. (I've Been) Hexed
03. Don't Panic
04. Slower Than Light
05. Nowhere Left To Hide
06. Clone Of The Universe
07. Il Mostro Atomico

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