The Soft Moon
Criminal

2018, Sacred Bones
Post Punk/Industrial

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 13/02/18

Nel corso dei quattro lavori realizzati come The Soft Moon, Luis Vasquez è lentamente risorto da un pantano di timbri opprimenti: il debutto omonimo del 2010 lasciava a malapena entrare la voce nel missaggio, concentrandosi invece su robotici ritmi post-punk, fraseggi austeri e fosche saturazioni al vetriolo. L'artista salmodiava raramente al di sopra di un sussurro, preferendo affogare l'elemento più umano della propria proposta in un miasma di deliranti clangori cromati. A quasi due lustri di distanza sembra che l'incubo abbia mutato pelle: il nuovo disco abbatte le torbide restrizioni del passato, permettendo a un ululato flessuoso di prorompere nella consueta asfissia dell'intelaiatura strumentale. Se "Criminal" non figura tra le prove maggiormente sfaccettate dello statunitense, di certo rappresenta la testimonianza dello sviluppo di un'attitudine comunicativa da songwriter maturo.
 
 
Scritto in un piccolo studio sito in un seminterrato di Berlino, l'LP si fa interprete di una rabbia che i The Soft Moon forse non hanno mai assecondato del tutto: al pari di "Deeper" (2015), sono i residui dei trami infantili e la struttura tossica che può assumere la psiche durante la crescita le tematiche principali di un concept atipico, nel quale i testi non vengono somministrati utilizzando le abituali forme narrative, bensì eiettati con la tecnica della frammentazione e della paratassi: una serie di emozioni ribollenti e un profondo disprezzo verso se stessi caratterizzano liriche ove l'argine della rimozione si sgretola scardinato dalla consapevolezza dell'angoscia e della mancanza. Gli spigoli si arrotondano e la loro fruibilità catchy, in stridente contrasto con i contenuti drammatici dell'album, chiama in causa quell'industrial pop griffato Nine Inch Nails  che il musicista di Oakland non ha mai smesso di suggere: questa volta lo sguardo si rivolge all'impasto di aggressività e dolcezza di "Pretty Hate Machine" (1989), un'opera capace di rendere attraenti all'orecchio sentimenti quali l'odio e il rancore. Figliastro ribelle di Mr. Self Destruct, Vasquez troneggia abietto, senza dimenticare di cogliere l'opportunità di una catarsi attraverso l'esposizione del dolore.
 
 
Le martellanti curvature del basso, i samples schizoidi, il trapano della drum machine e le gradazioni EBM costituiscono le linee guida entro cui si muove un platter da assimilare alla stregua di farmaco sgradevole e necessario. In "Burn", l'insistente liturgia di "I can't control myself" non arretra di fronte al rischio del disturbo compulsivo, mentre le percussioni industriali di "Choke" ben si addicono al masochismo di "take your time, crush me fine": fantasie goth di un uomo catturato dalle ruote di un ingranaggio gigantesco, perso nella ragnatela cacofonica della canzone medesima. Nonostante sia spesso oscurato dalla distorsione, il tono prismatico dell'ugola del nostro non passa inosservato, rendendo il falsetto di "Give Something" efficace quanto il brontolio profondo di "Like A Father": l'assenza qui della figura paterna sfuma nelle vibrazioni carnali di un ordito che non rammenta soltanto l'aura erotica di "Zeros" (2012), ma proietta l'ascoltatore in un'atmosfera da horror movie che inizia come uno slasher e pian piano muta in un thriller soprannaturale. Una traiettoria volubile contagiante altresì "The Pain", pista che sbatte su un armonico muro di synth grato ai Depeche Mode  di "A Question Of Time". 
 
 
Se in "Young" un suono metallico tintinnante costituisce una sorta di scintilla luminosa. nel buio generale, "ILL" evoca sensazioni di debolezza e imbavagliamento ostentando pareti esplosive di elettrofoni e rumori; "It Kills" invece comprime la forza del desiderio autolesionista collassando in un'escalation omicida venata di impotente superomismo. Tuttavia il sottile momento di leggerezza di un "I'm so bored I could quit" in "Born Into This", avvicina il protagonista più a Kurt Cobain che a Friedrich Nietzsche e fornisce una patina di sarcasmo tinta di inettitudine, simbolo di un'intera generazione. La lentezza e le chitarre in riverbero della title-track chiudono in cosciente sordina un itinerario stizzosamente palingenetico. 
 
 
Il bozzolo costruito da Vasquez in otto anni di frenetica attività crolla: amara trafittura nel ventre molle della falsa protezione, "Criminal" nasconde una traballante e disperata volontà di vivere. Con il gusto perverso della melodia.




01. Burn 
02. Choke 
03. Give Something 
04. Like A Father 
05. The Pain 
06. It Kills
07. ILL 
08. Young 
09. Born Into This
10. Criminal

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