Italia, Valle d'Aosta, patria e quartier generale dei Crohm, formazione nata nel lontano 1985 e autrice, negli ultimi anni, di due album in crescendo come "Legend And Prophecy" (2015) e "Humanity" ("2017"). Il loro ritorno discografico rappresenta un nuova conferma della bontà di un gruppo in grado di trovare stimoli e quadratura dopo un lungo apprendistato live e una reunion che sembrava sancirne il patetico e risolutivo au revoir: e invece la storia recente ha dimostrato, fortunatamente, il contrario.
"Failure In The System" è un lavoro che, se dal punto di vista lirico, si interessa dei controversi rapporti tra uomo e ambiente, mescolando rabbia e speranze di cambiamento, da quello musicale poggia su un classico heavy a tinte thrash dal songwriting solido e una produzione ad hoc: Metallica, Pantera, ma anche Black Label Society e Monster Magnet, dal momento che i nostri non indietreggiano di certo quando bisogna assorbire influenze stoner e southern, soprattutto in pezzi quali "Deep Blue" e "The Man Without Voice". Le chitarre, aguzze e melodiche, poggiano su una sezione ritmica che compie egregiamente il proprio lavoro sia nei brani più sostenuti e comunque catchy ("Failure In The System", "Restart", "Ride The Storm", "Fire And Ice"), sia nei mid-tempo (la proggy "Castles Of Sand"), mentre la voce di Sergio Fiorani riesce a bilanciarsi tra le maglie di un seducente compromesso alcolico-riflessivo. Da sottolineare, poi la metal version della beatlesiana "Eleanor Rigby": calda, aggressiva e sorprendentemente adatta al contesto. Per il resto, ordinaria amministrazione.
I Crohm, con "Failure In The System", entrano definitivamente nella cerchia di quelle band dello Stivale capaci di proporre un sound dal taglio internazionale senza risultare, fin dove possibile, troppo derivative. Bravi.