Cult Of Fire
Moksha / Nirvana

2020, Beyond Eyes Records
Black Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 02/03/20

I Cult Of Fire, lungi dall'intraprendere un percorso stereotipato, furono capaci, da "Ascetic Meditation Of Death" (2014) in poi, di respingere il luogo comune del black metal anticristiano e ribelle, preferendo concentrarsi sull'esplorazione della filosofia buddhista e del misticismo vedico. Una scelta che, se da un lato li rende, paradossalmente, degli iconoclasti migliori dei colleghi luciferini, dall'altro attesta come la band ceca abbia sempre cercato di definire sé stessa non individuando un capro espiatorio da dileggiare, bensì attraverso lo scandaglio del proprio Io spirituale. Non dovrebbe sorprendere, dunque, che l'ultima fatica artistica del gruppo consti di un doppio album ricco di suoni incandescenti e distesi passaggi meditativi: d'altronde, la ricerca della saggezza, illimitata e infinita, prevede, in nuce e in itinere, l'armonizzazione dei conflitti. Una costante nella discografia dei praghesi.

I testi di "Moksha", primo disco della coppia, si ispirano alla storia e agli insegnamenti di Baba Keenaram, il fondatore dell'ascetismo Aghori, e sgranano un insieme di meditazioni inerenti le sofferenze patite nella vita quotidiana e sul modo di comprendere ciò che di profondo giace sepolto all'interno dei nostri corpi. Dal punto di vista musicale, tracce quali la stravagante opener "Zrození Výjimečného" e la tenebrosa "Město Mrtvých" servono a irrobustire ulteriormente l'impressione che il terzetto operi su assi differenti rispetto al resto del mondo estremo. Naturalmente, gli elementi base - le chitarre in tremolo, le percussioni ossessive e vibranti, la voce selvaggia e catartica di Devilish - radicano ancora saldamente il combo nel solco del metallo nero; tuttavia le dilatazioni epiche e progressive, le atmosferiche trine di tastiera, gli accenti di tribalismo orientale, i flirt con lo shoegaze, assicurano che l'impianto generale del lavoro diverga da sentieri facili e predeterminati. Ciò non vuol dire che le successive "(ne)Čistý", "Har Har Mahadev", "Mokša" risultino carenti di fuoco e fiamme, anzi; eppure tocca alla trasfigurazione mantrico/esoterica cui vengono sottoposti i brani conquistare i timpani e l'animo. Con un decisivo e inebriante surplus di melodie indiane a corredo.

La seconda parte annovera, invece, cinque pezzi dedicati al raggiungimento della vera conoscenza delle cinque emozioni principali (desiderio, rabbia, illusione, orgoglio, gelosia): "Nirvana" costituisce un capitolo più oscuro, più strano e, probabilmente, anche più introspettivo rispetto alla sua metà. Dal cupo e lento bruciore di "Buddha 1" all'impavido tour de force colorato di Zen in "Buddha 5", il lotto richiede e premia la piena immersione dell'ascoltatore. Niente di impegnativo o di troppo sperimentale: l'act non forza mai la mano con l'obiettivo di sconcertare gratuitamente il pubblico. Il ritmo scorre libero e fluido, e basta entrare nelle maglie di "Buddha 3" per rendersi conto che la ruota dei contrasti può girare senza intralci di sorta.

Per chi non amasse le digressioni cervellotiche di Blut Aus Nord e Deathspell Omega, ma adori l'intensità e la carica evocativa di Batushka  e Schammasch, i Cult Of Fire ne rappresentano la giusta sintesi, tra immediatezza, songwriting elaborato e lirismo filosofico. Guai a trascurare le loro gesta.




Moksha

01. Zrození Výjimečného
02. Město Mrtvých
03. (ne)Čistý
04. Har Har Mahadev
05. Mokša

 

Nirvana

01. Buddha 1
02. Buddha 2
03. Buddha 3
04. Buddha 4
05. Buddha 5

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