Qualcosa si muove: è la macchina della vecchia gloria del BritPop, il pozzo di singoli da cui ancora oggi si attinge materia di ispirazione e critica. La macchina si muove soprattutto sul web: i siti di Blur ed Oasis, recentemente aggiornati e dinamizzati, sono uguali a quello di Damon Albarn, ma è proprio dal passato che il songwriter londinese si dissocia, pubblicando dodici canzoni per un album ordinato ma complessivamente triste perché scarta sul tavolo la verità della nostra società.
Commiserevole e composto nella sua depressiva fatiscenza.
Basi meccaniche e voci soffuse per il nuovo esordio di un artista inglese tanto amato quanto incompreso, ora più completo che mai grazie alla pubblicazione di “Everyday Robots”, un titolo che è tutto un programma. I suoni cupi ed i ritmi scanditi da metalliche stilettate, gentilmente addolcite dai frequenti interventi di pianoforte, conferiscono al primo disco da solista di Damon Albarn una dimensione super partes dettata dalla maturità, dal coraggio e dalla continua sperimentazione: sono questi gli attributi della mente di Blur e Gorillaz.
I presupposti robotici, seppur lineari, non vengono smentiti: ci sono però i personaggi delle storie paesane, come “Mr. Tembo”, menestrelli contemporanei che a tratti illuminano il concept di “Everyday Robots” con ritmi più incalzanti e suoni rallegranti. Albarn si dissocia dal passato senza demolirlo, ma valorizzandolo, cosa che non accade dalle parti di Manchester: fedele alle proprie aspirazioni e alle tradizioni promozionali – sono cinque i singoli estratti tra febbraio e aprile – il musicista più pragmatico e prospettico del BritPop inizia così una nuova avventura, nella continua condivisione del valore che lo ha sempre influenzato: l’illusione della completa felicità.