David Gilmour
On An Island

2006, Columbia Records
Progressive Rock

Recensione di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 16/11/16

Non sono pochi gli artisti che, dopo anni di grandi successi e capolavori con la propria band, decidono di lanciarsi sulla carriera solista, con le motivazioni che possono essere le più disparate. Non tutti però riescono a centrare il bersaglio e se la band di origine è una delle più grandi e influenti della storia della musica, forse bisognerebbe domandarsi se il gioco vale la candela: il rischio di fallimento e le accuse di voler solo consolidare il conto in banca dopo un periodo di inattività sono sempre dietro l'angolo. Ma se ti chiami David Gilmour, due sono le cose certe: il rischio di fallimento è praticamente nullo e un nuovo progetto può andare in porto solo quando il momento è propizio, senza secondi fini. È forse per questo che dopo il definitivo scioglimento dei Pink Floyd, il chitarrista ha aspettato ben dieci anni prima di tornare ad Astoria, lo studio di registrazione galleggiante di sua proprietà, dove insieme a ospiti di grande spessore (tra cui Richard Wright, Guy Pratt e Phil Manzanera) ha dato vita a "On An Island".

 

Partiamo subito affermando che la migliore sorpresa offerta dal primo album solista del Gilmour post Pink Floyd è una piacevole indipendenza dalle tematiche e dal sound della leggendaria band. Le influenze sono ovviamente evidenti, ma "On An Island" è un disco molto più personale, intimo e pacato rispetto ai lavori precedenti. I brani sono profondamente sentiti e passionali e presentano diverse influenze, seppur rimanendo sempre in un background comune ben consolidato. Saggiamente, Gilmour non permette alla sua chitarra di oscurare il lavoro degli altri musicisti, ma, unendo il tutto con maestria, crea un tela in cui i dialoghi tra i diversi strumenti amplificano le emozioni, raggiungendo in alcuni casi picchi davvero elevati. È quindi un peccato che in un paio di brani il chitarrista non abbia trovato la quadratura del cerchio, presentando in conclusione una tracklist in cui a tracce ottime se ne alternano altre che, seppur buone, non si lasciano ricordare per il loro spessore.

 

Il lavoro si apre con l'atmosfera onirica di "Castellorizon", da cui si solleva la caratteristica chitarra di Gilmour, che prosegue a duettare con ognuno degli altri strumenti fino all'incipit della titletrack. "On An Island" è uno degli highlight del disco, un brano dalla forte emotività in grado di trasportare realmente l'ascoltatore su un'isola deserta in una notte stellata. Sulla stessa lunghezza d'onda è anche la successiva The Blue, che si lascia ricordare per un assolo sublime, oltre che per i cori della prima parte. In opposizione alla prime tracce, "Take A Breath" è invece un brano dai toni vigorosi, che suo malgrado si perde con il passare dei minuti. Dopo la strumentale "Red Sky At Night", in cui Gilmour stesso suona il sassofono immerso in un'atmosfera rilassata, i due brani successivi riportano gli standard ad alti livelli: "This Heaven" è un blues incisivo in cui vengono inseriti alla perfezione i passaggi chitarristici tanto cari all'inglese, mentre è magistrale la costruzione della strumentale "Then I Close My Eyes", in cui vari strumenti si aggiungono uno alla volta e dialogano tra di loro raggiungendo altissimi picchi di emozionalità. La dolce ballad acustica "Smile" è priva del mordente dei brani migliori e scorre velocemente fino all'introspettiva "A Pocketful Of Stones", in cui invece gli strumenti si sposano perfettamente con la delicata voce di Gilmour. Il disco si chiude con l'ottima "Where We Start", dedicata alla moglie Polly Samson, che unisce la dolcezza di "Smile" e la passionalità della titletrack.

 

"On An Island" è un lavoro di ottima fattura, che, nonostante un paio di brani sottotono, si lascia ascoltare ed emoziona con grande facilità, a patto di non aspettarsi un disco dei Pink Floyd. Nonostante Gilmour sprigioni classe ed emozioni a non finire ad ogni tocco delle sue sei corde come nella sua vecchia band, il contesto, i suoni e soprattutto le intenzioni sono diverse. Dopo la pubblicazione dell'album, il chitarrista si imbarcherà in un tour mondiale - in compagnia dell'amico di una vita Richard Wright - per poi chiudersi nel silenzio per un altro lungo periodo. Ma per fortuna, come abbiamo visto recentemente, a certi mostri sacri non viene mai in mente di smettere. E allora lunga vita a David Gilmour e alla sua Stratocaster, che da quasi 50 anni continuano ad emozionarci come la prima volta.





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