David Bowie
The Next Day

2013, RCA
Rock

Il "Giorno Successivo" di David Bowie profuma assai poco di presente, figuriamoci di futuro...
Recensione di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 09/03/13

Average and over-hyped.

Leggere nella rete un commento - nell’infinita moltitudine - così lapidario riguardo la nuova fatica discografica di David Bowie ha dell’incredibile, specialmente quando ti ritrovi ad essere esattamente d’accordo con quelle tre-quasi-quattro parole.

Cominciamo dalla parte facile: over-hyped, ovvero iper-pubblicizzato. Cerchiamo di capirci: dieci-anni-dieci di silenzio assoluto, di quelli tombali, che suggerivano una morte artistica data praticamente per certa da chiunque dopo il rifiuto categorico del Duca Bianco di partecipare alla cerimonia olimpica di Londra 2012 nell’anfratto a lui dedicato nella storia inglese della musica. Invece, con la sorpresa che solo le autentiche leggende sanno riservare in un’era dominata dal social virale e dal leak spietato, il buon David ha tenuto in serbo la bottiglia buona, per cui ecco che, al compimento del suo 66mo compleanno, viene rilasciato non solo l’annuncio del qui presente “The Next Day”, ma anche il video del primo singolo “Where Are We Now?”, dove non solo vengono ripresi i temi della mai troppo lodata trilogia berlinese del cantautore inglese, ma vengono anche ricamate delle immagini di quelle così ripiene d’arte come solo Bowie sa firmare. Un bel sentire – grazie ad una ballata dove la chitarra elettrica detta gli umori di una desolazione apocalittica ed urbana – ed anche un bel vedere, grazie alla regia e direzione artistica di David Mallet. Aggiungiamo, poi, la copertina che è un riadattamento sfizioso dello storico “Heroes” del 1977, ed ecco che l’attesa tra l’8 gennaio ed il qui presente marzo non si è fatta spasmodica, di più. Oltre. Over-hyped, per l’appunto. 

Veniamo quindi all’average, a quel "mediocre" che colpisce e stordisce come un pugno in pieno petto. Si dice che David Bowie, in una carriera a dir poco esemplare e magistrale lunga quasi 50 anni, abbia registrato e trattato praticamente ogni genere musicale, perlomeno di quelli che contano. E’ assolutamente vero, così come è una certezza il fatto che il Nostro abbia abbondantemente smesso con la fase sperimentale della sua musica a cavallo tra 1997 ed il 1999, anni un cui si esauriva la coda industrial di “Earthling” e delle avventure investigative occulte di Nathan Adler su “Outsider” – una voglia di “futuro” manifesta anche nella composizione della colonna sonora dell’avveniristico e seminale videogioco “Omikron: The Nomad Soul” di David Cage - per lasciare spazio ad un rock inizialmente contaminato dal pop su “Hours”, poi immerso nella nostalgia del glam che fu da “Heathen” in avanti, grazie al sodalizio con Tony Visconti alla produzione, una garanzia in fatto di enfasi del glamour.

E proprio l’adagio popolare: “Squadra che vince non si cambia” domina un po’ tutto questo “The Next Day”, anche se inizialmente l’album in questo senso disorienta, facendo capire di essere stato pensato negli ultimi due anni e registrato in tre mesi grazie a brani che nascondono un mood oscuro, come quello della già citata ballata “Where Are We Now?”, certo, ma anche nella rabbiosa dichiarazione d’intenti posta in apertura, nell’organo solenne di “Love Is Lost”, nella decadenza (ma sempre glamour) dell’attuale singolo “The Stars (Are Out Tonight)” (regia di Flora Sigismondi ed interpretazione di Tilda Swinton: pura goduria). Tutti elementi che ti fanno capire come la crisi imperante dell’attuale presente venga ben filtrata dall’artista britannico. Ahinoi, è però solo una pia illusione, perché poi il resto del disco sfocia nel manierismo per nostalgici, proponendo schemi più che collaudati nella sterminata discografia bowiana, ma con composizioni che non sanno essere graffianti come un tempo (merito anche di un timbro di voce che, ahimè, non è più quello di una volta). Ed ecco, dunque, che lo sfondo ‘60s di “If You Can’t See Me”, il boogie woogie spaziale di “Dancing Out In Space” e la ballroom ballad “You Feel So Lonely You Could Die” sono tutti brani fini a loro stessi, piuttosto sterili dal punto di vista emozionale ed emotivo, e solo col catastrofismo conclusivo di “Heat” si torna a respirare del sano interesse.

Tirando le somme: David Bowie, in fondo, ha qualcosa da dimostrare ai giorni nostri, per cui è necessario che si metta in gioco? Probabilmente no. E' comunque un lavoro di classe questo? Decisamente sì. E’ un titolo che saprà far godere gli adepti del culto bowiano? Ovvio: per loro questo disco è come l’eucarestia durante la comunione. “The Next Day” è un inciso che segna il nostro presente con entusiasmo ed autentica meraviglia, facendo sì che dieci anni di attesa non siano stati vani? Parliamone…




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