Lubbert Das
De Plagen

2018, Amor Fati Productions
Black Metal

Recensione di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 06/01/19

Il Medioevo misantropico dipinto dai primi Peste Noire, i giri ipnotici dei Forteresse, la potenza evocativa dei Greyfell, il mood atmosferico dei fratellastri Turia: l'elenco potrebbe continuare, considerate le innumerevoli influenze dei Lubbert Das, eppure, nell'eterogenea tavolozza musicale approntata dagli olandesi, non si avverte né confusione né impaccio. Il black metal tratteggiato dalla band nell'album d'esordio "De Plagen" lascia sì ampio margine all'emergere di paesaggi sonori insalubri, ma, oltre alla violenza belluina, non trascura di ricorrere a insufflazioni sottocutanee di melodia per conquistare i canali uditivi dell'ascoltatore. Una scelta che ben si adatta allo sfondo storico dei testi, incentrati sui quattro flagelli dei secoli bui (o presunti tali): il potere distruttivo della carestia, le piaghe devastanti della morte nera, gli spargimenti di sangue causati dalle guerre e la materializzazione delle superstizioni, vengono rappresentati con quel piglio ammonitore e surreale tanto caro al pennello di Hieronymus Bosch.
 
 
Le quattro tracce, ciascuna non inferiore ai sette minuti, irrorate dalle linee vocali ora ringhiose, ora abissali, del batterista J, si rivelano essere la patria di un rifferama in tremolo picking praticamente ininterrotto e di lunghe dilatazioni strumentali in cui la chitarra ronza alla pari di un nido di vespe, diventando assoluta e minacciosa protagonista. Tocca a "De Honger" inaugurare il lotto con un fascio sibilante di larsen: un grumo appiccicoso sembra gorgogliare nelle condutture enteriche dell'Inferno, il basso di O, distorto all'inverosimile, ne curva e amplia le labirintiche strettoie, poi le cadenze percussive, cave e monocordi, rallentano progressivamente, permettendo al coagulo malsano di spargere il proprio veleno. A seguire, mentre "De Pest", dopo un'intro più sommessa e angosciante, inanella una serie di fraseggi affilati e parassitari poggianti su ritmiche vicine alla darkwave, "Het Zwaard" fende lo spazio alternando mid-tempo e accelerazioni in perfetto stile darkthroniano. La conclusiva "Het Zwijn", una sorta di caotica sinfonia in lo-fi carica di effetti, aggredisce come una mandria di cinghiali accecata dall'ansia di rotolarsi e grugnire sulle ceneri dell'umanità e in simbiosi con essa: la colonna sonora ideale per un remake del pasoliniano "Porcile".
 
 
I Lubbert Das si ergono, dunque, a nuovi paladini del culto oscuro attraverso un "De Plagen" di certo figlio degenere di molti padri, tuttavia capace di mirare al solo obiettivo possibile: la diffusione del morbo. Gli orribili vibrioni hanno raggiunto anche Nimega.




01. De Honger
02. De Pest
03. Het Zwaard
04. Het Zwijn

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