Dead Can Dance
The Serpent's Egg

1988, 4AD
Folk/Darkwave

Un viaggio dagli strati ancestrali della coscienza al regno delle idee e dell’espressione
Recensione di Federico Mainardi - Pubblicata in data: 25/04/13

Ci sono dischi che incantano, affascinano, catturano… e poi ci sono i dischi che ti cambiano. Succede in pochi minuti di ascolto, dilatati come il tempo stesso. Dapprima il mondo che ti circonda, il mondo in cui fino ad un attimo prima ti stavi affannando, sparisce: persiste sordo, ma è come se cessasse di esserci. Per te non esiste più nient’altro che la musica, quella musica che ha invaso i tuoi sensi, che pulsa ad un ritmo a cui senza rendertene conto ti stai accordando, che ti trapassa e ti porta via. È un lampo, un tuffo, un abbraccio. Poi sgorga una lacrima, il tuo mondo torna a farsi sentire prepotentemente in sensazioni che avevi dimenticato, in ricordi che riscopri di amare, e sai che quel disco d’ora in poi è una parte di te.

A chi scrive tutto ciò è successo ascoltando “The Serpet’s Egg”, quarto disco dei Dead Can Dance: lo scoprì mentre facevo l’università, in un periodo in cui studiavo il pensiero magico del Rinascimento. Quest’album è esso stesso un’opera esoterica e vale, per descriverlo, l’idea che dell’esoterismo mi feci allora: un modo poetico di guardare all’esistenza, in cui la vita è resa significativa dalle corrispondenze, in cui la realtà assume un senso unitario e superiore. “The Serpent’s Egg” è un viaggio, che ognuno interpreterà e vivrà in maniera personale, nella dimensione remota e rarefatta di un diverso livello di coscienza.

Una singola nota lunghissima, pochi colpi di gran cassa e le voci suadenti della coppia Lisa Gerrard e Brendan Perry: è l’inizio di “The Host Of Seraphin”, e si è subito in un altro mondo. Movimenti lenti e armoniosissimi cullano l’ascoltatore che veleggia, come sospeso, sulle profondità insondabili della voce femminile e delle sue suggestioni ancestrali. È coi cori di stampo pseudo-gregoriano della successiva “Orbis De Ignis” che si è ricondotti dal profondo alle visioni supreme, ascendendo (come pare suggerire il titolo) al cospetto della perfezione immateriale delle idee. Viene poi la malinconica “Severance”, che affida il suo bel testo alla prosodia leggermente stentata della sola voce maschile. La trance musicale continua con “The Writing Of My Father’s Hand”, “In The Kingdom Of The Blind The One Eyed Are Kings”, “Chant Of The Paladin”, “Song Of Sophia”… questa è la formula dei Dead Can Dance: titoli suggestivi che evocano una sapienza iniziatica, un tessuto musicale costituito perlopiù da strumenti da camera e l’assoluta preminenza delle voci, che solo occasionalmente cantano veri e propri testi, dispiegandosi più spesso in vocalizzi abili quanto misteriosi. All’orecchio tutto ciò risulta ammaliante, fonte di un irretimento che tocca, davvero al di là del pensiero conscio, alcune delle corde più remote ma anche più vibratili della sensibilità umana. In due brani, “Ecolalia” (un disturbo del linguaggio consistente nella ripetizione automatica delle parole udite, ed infatti il pezzo è giocato su una serie di ripetizioni e riprese) e “Mother Tongue” compaiono marcati elementi ritmici della musica aborigena, a testimonianza delle origini australiane della band. Se il motivo di queste due composizioni sembra essere la lingua primordiale, il conclusivo, inquieto “Ullysses” riannoda i temi del viaggio, dell’autoconoscenza e del nuovo inizio.

L’artwork di quest’album è minimale ma anch’esso pregno di significati: un fiume in copertina, un albero all’interno. Due immagini che rimandano al fluire e alla crescita, due motivi junghiani dall’inesauribile portata simbolica. La musica dei Dead Can Dance è molto lontana dai gusti del mainstream ed è senz’altro riservata a pochi, ma ad essi regala le emozioni eteree che mi sono sforzato di descrivere; sicuramente non ho esaurito gli infiniti livelli di lettura di questo disco: non mi resta che invitarvi all’ascolto, perché possiate capire personalmente di cosa parlo…



01. The Host Of Seraphim
02. Orbis De Ignis
03. Severance
04. The Writing On My Father's Hand
05. In The Kingdom Of The Blind The One-Eyed Are Kings
06. Chant Of The Paladin
07. Song Of Sophia
08. Ecolalia
09. Mother Tongue
10. Ulysses

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