Riesce difficile galvanizzarsi per un disco d'esordio come "Premonitions" e non tanto perché soffra di una produzione dozzinale o di un songwriting poco maturo: anzi, oramai tali aspetti tecnici rappresentano, nella confezione degli album moderni, problemi quasi completamente inesistenti. Eppure, i Deadthrone, giovane quartetto di Manchester, si accodano alla lunga lista di band dell'universo metalcore, in questo caso declinato nella sua versione melodica, che nulla aggiungono al genere in termini di inventiva e freschezza. Se la parte musicale non appare così brillante, il cotè lirico sorprende, bisogna ammetterlo, in positivo: i testi rifuggono dalle abituali nenie post adolescenziali, mentre, al contrario, spuntano riflessioni adulte, prese di posizione politiche, messaggi costruttivi. Ciò non basta a riscattare la cifra di un LP che, benché non cada nella totale mediocrità, risulta realmente troppo uniforme e derivativo.
Peccato davvero, anche considerando le evidenti potenzialità degli interpreti in campo, che, soprattutto nei frangenti in cui pigiano il pedale del gas, appaiono capaci di vergare pezzi di discreta qualità: è il caso di "Revival", uno dei pochi momenti ove l'alternanza tra clean e harsh vocal raggiunge un buon equilibrio, riuscendo a confluire in un brano irruente e gradevole. Sulla medesima linea di galleggiamento si situano "Wide Awake" e "Heart In Our Hands", progettate sì senza grosse sorprese, ma fucine di interessanti abbozzi sperimentali, ravvisabili in delicati breakdown dalla tinta quasi psichedelica. Il resto caracolla tra brandelli emo e ruffianerie pop, con l'elettronica di plastica di "Respite" e le smancerie à la Bring Me The Horizon di "Believe" e "Soothsayer" a reggere le fila di un lotto pronto a precipitare tosto nelle fauci della rapida obsolescenza.
Osservando soltanto l'artwork, "Premonitions" sembrava minacciare fuoco e fiamme: invece, nonostante il sontuoso incarto, i Deadthrone non vanno oltre la soglia del bigino, lasciando amareggiati più che delusi. Da rivedere.