Death SS
Resurrection

2013, Lucifer Rising
Heavy Metal

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 13/06/13

Sarebbe bello per una volta raccontare un disco dei Death SS in maniera diversa, senza chiamare in causa il passato o i soliti riferimenti di costume. Detto fatto, la qualità di un come back gradito e inaspettato come “Resurrection” fornisce ottimi spunti per deviare dalle convenzioni. Il ritorno dei Death SS si può riassumere con un solo aggettivo: definitivo. Non siamo davanti ad una reunion confezionata ad arte, né tantomeno a un patetico pretesto per richiamare alle armi i die-hard fans. “Resurrection” rappresenta piuttosto il tentativo di codificare quel concetto di “stratificazione” del sound spiegato in sede di intervista. C’è da dire intanto che la band ha scelto di prodursi in totale indipendenza, piuttosto che affidarsi a un nome di spicco e a produzioni ultramoderne del tutto prive di anima. Una scelta coraggiosa, ma anche un fattore di continuità con il passato underground  e quindi con un certo modo di concepire la musica.
 
Il risultato è il disco della definitiva maturità stilistica e compositiva. “Resurrection” nasce nel segno della passione e dell’impegno che da sempre caratterizzano il percorso artistico di Steve Sylvester e di tutta band, ormai artisti a tutto tondo, capaci di fondere in un’unica proposta le suggestioni shock rock, l’esoterismo di Aleister Crowley, le atmosfere degli horror di derivazione seventies. Chi ha amato le sonorità classiche di “Heavy Demons” non faticherà quindi a ritrovarsi nelle ficcanti melodie di “The Crimson Shrine” e “The Darkest Night”, autentici highlights di un disco che non conosce cali di tensione. Chi invece in passato ne ha apprezzato le divagazioni stilistiche tornerà a battere il tempo insistentemente sulle note di “Revived” e “Eaters”, mentre non si può prescindere da un pezzo come “The Song Of Adoration”, diretta discendente almeno nelle intenzioni di quella “Black Mass” che tanto fece scalpore sul finire degli anni ’80, con cui condivide il tipico mood liturgico e messianico. Persino un pezzo apparentemente minore come “Precognition” regala spunti di interesse nella innocente melodia del chorus, a dimostrazione che non c'è niente di intentato, neppure la scanzonata e pernacchiosa (concedeteci il neologismo) "Bad Luck" posta in conclusione.
 
Un sacco di elementi ulteriori emergono all’ascolto di questo lavoro, dal gran gusto nei soli di Al De Noble (nient’altro che Aldo Lonobile dei Secret Sphere), alla vena gothic che emerge in maniera decisa su almeno un paio di tracce. Il risultato è un disco eterogeneo ma ben amalgamato, come se la band avesse voluto riassumere tutto il proprio percorso artistico in un disco forgiato nel fuoco dell’esperienza maturata in anni di onorata carriera. “Resurrection” va abbondamente oltre le più rosee aspettative e rientra a pieno titolo fra i titoli migliori di questo primo semestre, almeno in campo hard n’heavy. Per una volta, non abbiate paura.




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