Defocus
In The Eye Of Death We Are All The Same

2021, Arising Empire
Metalcore

Il crudo resoconto di una fine programmata dalle nostre stesse mani.
Recensione di Giampiero Pelusi - Pubblicata in data: 06/07/21

Il tempo, una sentenza inoppugnabile, il tiranno che decide e scandisce le nostre vite: le lancette ticchettano fuori controllo, soprattutto al giorno d'oggi, in cui la frenesia spodesta l'opportunità di un istante per uno sguardo. Occhi dritti per la propria strada, noncuranti di ciò che accade attorno. Del resto, come possiamo ancora fermarci per poco a pensare, quando il mondo ipertecnologico in cui siamo incastrati ci inghiotte senza nemmeno masticarci? È servita in questo caso la pandemia, che ha congelato per mesi le nostre routine infernali, permettendoci di sbattere le palpebre e focalizzare l'obiettivo appannato verso la splendida cupola dalle fondamenta marce in cui viviamo, ormai prossima al collasso. Perchè tanto egoismo governa le leggi della società? Questa è la semplice, quanto spinosa domanda che si pongono i tedeschi Defocus, una delle tante new reality del metalcore moderno, nel loro debut album "In The Eye Of Death We Are All The Same".


Una proposta musicale durissima, intrisa di un'oscurità asfissiante: è tangibile la rabbia racchiusa nelle parole del frontman Simon Müller, liriche che lasciano in bocca un sapore di semi-rassegnazione, consapevoli di una fine ormai già scritta. "Thought Of A Vision" spalanca le porte del disco con una brutalità sconfinata, testimone di una furia compositiva che collega testi dal retrogusto amaro al chirurgico delirio che viene fuori dalla strumentale. Risuonano , fin da subito, i richiami ai Wage War di "Deadweight", agli Of Mice & Men, ma anche allo stile tipico dei Meshuggah di "Nothing" (nel primo breakdown dell'opener, il riffing prende un chiaro spunto da "Rational Gaze" degli svedesi). "In Our Heads" continua l'opera di demolizione senza alcun ripensamento, cedendo il testimone alla rapida "Immerse Me", che nel suo possente incedere, lascia trasparire qualche spiraglio di melodia, quest'ultima però, spazzata via quasi immediatamente da "Common Grave", una mattonata lancinante che fa sentire il suo peso strumentalmente e, soprattutto, a livello lirico.

 

Parlavamo di egoismo come fulcro maledetto di una stratificazione ossessiva della società moderna, fenomeno che ha causato un gap incommensurabile tra poveri e ricchi. Ma in "Common Grave" viene fuori il concetto di egoismo più generale, di cui tutti siamo schiavi ed è quello nei confronti della natura. Se siamo ai limiti di un imminente collasso planetario, è sicuramente per l'opera di annientamento che noi uomini abbiamo avviato, ormai da tempo, nei confronti della reale governante di questo mondo, spodestata senza criterio per l'incontenibile sete di potere di un abominevole parassita. "Diverge", "Can You See Me" e "Disease" proseguono sulla falsa riga delle tracce precedenti, mentre la conclusiva "Shelter" si allontana, per alcuni versi, dagli standard dell'album: cresce lentamente, tastando terreni melodici fino ad allora solo timidamente esplorati, per poi scoppiare e quietarsi ripetutamente, in un saliscendi di emozioni che scolpisce il pezzo più toccante e convincente del disco.


Un ascolto agrodolce quello di "In The Eye Of Death We Are All The Same", convincente nel suo essere spietato. Quello confezionato dai tedesci di Aalen non è altro che il crudo resoconto di una fine programmata dalle nostre stesse mani. Il debut dei tedeschi è una piacevole sorpresa per le orecchie: un songwriting intenso ed un'ottima tecnica compositiva ci consegnano un album compatto e deciso, pur non essendo brillante a livello innovativo. Seppur l'album non riesca a stabilizzarsi su ottimi livelli per tutta la sua durata a causa di momenti fin troppo simili tra loro, il parere non può che essere assolutamente positivo. I Defocus ci accompagnano al cospetto della morte per osservare, con gli occhi gonfi di vane lacrime, gli ultimi granelli cadenti in una clessidra ormai per metà spoglia. Tutto si equalizza, tutto torna alle origini. Di fronte alla morte, siamo tutti della stessa cenere.

 





01. Thought of a Vision
02. In Our Heads
03. Immerse Me
04. Common Grave
05. Tides
06. Diverge (feat. Tom Brümmer)
07. Can You See Me
08. Disease
09. Shelter

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool