Articolo a cura di Bruno Lanchi
Esiste nel panorama musicale una categoria di band dalla vita e dal destino paradossale. Sono quei gruppi che entrano spesso in punta di piedi nel mondo della musica producendo, con pochi soldi - come accade spesso o come dovrebbe accadere -, un qualcosa capace di tracciare con prepotenza un segno indelebile del loro passaggio, per poi sparire, o meglio, senza lasciare una duratura traccia, se non nel cuore dei fan più appassionati e nostalgici e nei musicisti più completi. In questo filone rientrano a pieno titolo i Warlord, nati dall'unione di due brillanti menti quali W. J. Tsamis e Mark Zonder (ex Slavior e Fates Warning) in quel di Los Angeles nel 1980.
"Io credo che l'heavy metal, il vero heavy metal sia una forma d'arte" - questo il credo warlordiano di Tsamis - "e questa forma esprime potenza, aggressività, dolore, qualche volta amore, qualche volta quiete".
E' l'uomo ad essere posto al centro dell'universo musicale warlordiano, con tutta la sua finitezza, i limiti, le aspirazioni ed ambizioni. L'uomo Romantico, titanico o vittima, che vince l'oblio del tempo trovando una nuova espressione nella musica: è colui che, in "Deliver Us From Evil", di fronte all'imminente catastrofe si appella al divino per trovare la salvezza, prima sedotto da un arpeggio di ellenica tradizione e poi avvolto da un suono ed un ritmo marziali dove la batteria di Zonder scandisce la fine del mondo. E' l'uomo ridotto in miseria di "Penny For a Poor Man", in cui la suadente voce di Jack Rucker alterna falsetto e grinta nell'esprimere miseria e rabbia; è il sedotto dall'occulto di "Black Mass", autentica espressione di ipnosi, o la vittima lungo la strada della follia in "Mrs Victoria", puro suono caotico ed energico. Ma l'uomo warlordiano è anche un uomo capace di provare sentimenti e "Winter Tears" rappresenta l'espressione musicale del dolore di dover perdere una persona cara "...until we'll meet again".
"Is it better to rule in hell,
than it is to serve in heaven?"
Ecco il quesito di John Milton, autore inglese del 1600, nell'opera "Paradise Lost", che Tsamis inserisce in "Child Of The Damned": brano carico di energia, potenza del credo warlordiano rilasciata in tutta la sua esplosività con un ritmi e riff veloci e pazzeschi.
Se nella prima traccia abbiamo visto l'uomo vittima e timoroso del proprio destino, l'epicità warlordiana trova la sua concretezza nell'ultima canzone, "Lucifer's Hammer", in cui il ruolo si inverte: una esplosione nucleare minaccia l'umanità ed è proprio essa stessa la causa della sua distruzione:
"..at the push of a button, we all will go to hell".
I Warlord sono questi, ben oltre l'aspetto puramente artistico, perchè nei testi come nei riff e nei rulli di batteria, vivono un pensiero, una volontà espressiva, una passione che non lascia compromessi ed i fans dei Warlord lo sanno bene: essi stessi diventano i custodi della loro tradizione musicale.