Sarò prevenuto nel diffidare da chi si autodefinisce "moderno e innovativo". Sempre che sia "il nuovo" la categoria che giustifica un giudizio artistico positivo (questo è da un po' oggetto di dibattito nella critica d'arte), notiamo che all'ascolto di "Silence Of Sound" di certo non abbiamo l'impressione stupita della novità, quanto del riassemblaggio poco felice di forme già esistenti.
La band piacentina con l'ingresso in formazione di Elisa Paganelli assume connotazioni più melodiche e gotiche rispetto al passato, ma la chitarra ha tutto il suono polveroso e ruvido dello stoner. "Addicted" apre eppur bene nel suo groove chitarristico, ma involve in una nenia goth-caramellosa seguita da assolo prog-sborone. Gli elementi dei Dhune hanno anche un certo pregio, soprattutto nei riff, ma si esprimono nella discutibile volontà di tratteggiare un chiaroscuro fra la vocalità pulita della Paganalli e l'impianto heavy, il tutto probabilmente per ammiccare tanto il cerchio quanto la botte. Il songwriting vorrebbe poi essere vario di andature e stili, ma le idee sono a ben vedere di modesta ispirazione: nella title-track, ad esempio, troviamo tanto i difetti dei Nightwish quanto quelli dei Dream Theater, mentre il riff di "Needles and Rust" è, invece, un mezzo plagio da quello di "One Inch Man" dei Kyuss (ah che pezzo quello!), anche se qui la linea vocale è tutt'altra cosa rispetto a quella della band americana (purtroppo...).
Il risultato è pesante e piuttosto che della fresca novità possiede la vitalità delle nascite morte. La sensazione principale è quella di sentire pop con dietro le chitarre metal giustapposte e poco integrate. Nell'auto-presentazione della band la melodicità vocale e il riffaggio pesante vengono indicate come (pregevoli) innovazioni, ma nella gran parte del disco la sensazione è, semmai, quella di aver suturato un Frankenstein di stereotipi irritanti.