Per spiegare l'origine del termine "cantautore", Guccini fa l'esempio della giraffa: date le somiglianze evidenti con il cammello e il suo amanto maculato, i Romani decisero di chiamarla (con uno sforzo immaginativo notevole) "cammellopardo". Con altrattanta fantasia, cantautore è un termine che nasce alla fine degli anni Cinquanta per sottolineare la natura ibrida di queste nuove figure, che sono autori e allo stesso tempo interpreti delle proprie canzoni. Da lì in poi questi personaggi hanno attuato una vera e propria rivoluzione nel microcosmo musicale italiano, diventando un vero e proprio genere, nonché una vera e propria cifra stilistica della nostra produzione musicale. Ecco, se dovessi definire i Disorchestra mi troverei in seria (ma piacevole) difficoltà.
Ascoltando l'album d'esordio "Umano Disumano", si può subito notare che tra di loro, senza dubbio, un cammellopardo c'è: la componente cantautorale è evidente e di un certo spessore, toccando in alcuni (a dire il vero tanti) punti vette poetiche elevatissime (una per tutte "Che fine ha fatto John Cazale), che danno dignità e sostanza a melodie e arrangiamenti musicali già splendide. In secondo luogo, con ritimiche elaborate e arpeggi delicati e talvota cupi, i Disorchestra si inseriscono a testa alta e con un respiro di novità nell'illustre filone dell'indie rock, occhieggiando in particolare ai Massimo Volume e (perché no!) ai CSI, con un rock duro in cui il cantato si distingue con la pacatezza del narratore, per sfociare talvota nella voce rabbiosa di chi proprio non ce la fa più "A stare muto" (vedi l'omonima e potente traccia).
La base musicale è potente ed efficace, che già da un primo ascolto lascia intuire che i musicisti sanno il fatto loro, regalando riff che riescono a distinguersi senza fatica, cosa (ahimé) talvota rara nel genere, soprattutto per uno snobismo dilagante verso tutto ciò che potrebbe anche lontanamente attirare l'attenzione dell'ascoltare medio/radiofonico, cosa non del tutto sbagliata, ma che spesso viene portata agli eccessi. E' un album che sa variare con abilità, passando da un pezzo come "Underground", che ad un ascolto distratto non stenterei ad attribuire ai Tool (provare per credere!), alla conclusione de "La Guerra dei Poveri", che occhieggia ai Modena City Ramblers e alla Bandabardò.
I Disorchestra esordiscono con un album potente e ispirato, che riesce a coniugare la poesia cantautorale a un rock schietto che evita abilmente di ripetersi. Insomma, il cammellopardo ha fatto un bel salto evolutivo, con un gruppo a cui vogliamo augurare tutta la fortuna possibile.
Disorchestra
Umano Disumano
2013, Seahorse Recordings
Indie Rock