La parabola discendente sempre più accentuata, protrattasi dagli anni '90 ai 2000 con la progressiva fuoriuscita di due membri storici, ovvero George Lynch (tra i più grandi guitar hero del genere, impegnato coi suoi Lynch Mob) ed il bassista Jeff Pilson, culmina con lo scioglimento di 6 anni orsono. Nel 2016 venne annunciato il ritorno con la formazione originale per una serie di concerti in giro per il mondo: dalle esibizioni nel Sol Levante si estrapolò il materiale per la pubblicazione di questo "Return To The East", la cui release è stata fatta slittare di due anni, proprio in coincidenza con il trentennale di "Beast From The East". Nonostante gli intenti di rievocare i fasti di un tempo, l'uscita dell'opera, voluta fortemente dalla Frontiers, si rivela purtroppo una scelta azzardata: sebbene il valore dei musicisti sia di primo livello, l'act risente inevitabilmente dei tanti lustri di assenza dal palco, pagando spesso e volentieri in termini di affiatamento e di coordinazione tra gli strumenti. Se a ciò andiamo ad aggiungere una produzione non perfetta, che depotenzia i brani creando un effetto di lontananza, ed il drastico calo vocale di Don Dokken, palesemente in affanno soprattutto nelle tracce più spinte ed anthemiche, il disastro sembra essere inevitabile.
Invece non tutto è da buttare, perché se è vero che la classe non sfiorisce con l'età, il talento in questo caso fa rima con George Lynch, che sfodera una prestazione magistrale alle sei corde, sia nel caso dei pezzi meno movimentati, in cui i ritmi più blandi aiutano il singer ad esprimersi ancora ai livelli di un tempo, che in quello delle pregevoli versioni acustiche di hit storiche ( "Heaven Sent" e "Will The Sun Rise"), impregnate di passione e cullate da pregevoli arpeggi ed intrecci chitarristici. Altro episodio che rende giustizia al passato è l'immortale "Alone Again", il lento più rappresentativo della carriera dei Dokken, corredato per l'occasione di un intro che ne accresce il pathos e la magia. Non sfigurano anche le immancabili "Unchain The Night" e "Breaking The Chains", canzoni senza tempo capaci di travolgere ancora come un fiume in piena e in cui anche Don Dokken cerca di offrire la sua versione migliore, aiutato dai cori dei compagni e dalla carica elettrizzante di George Lynch, in grado di ammaliare passando dai riff più introspettivi alle sue classiche accelerazioni devastanti, vero marchio di fabbrica del complesso.
Sono però alcuni tra i brani più famosi, tra cui "Kiss Of Death", "The Hunter", "Dream Warrior" a deludere le attese, e a dimostrare come l'operazione commerciale che ha portato alla reunion dei Dokken ed alla pubblicazione di questo disco, abbia fallito nell'intento di proporre del materiale all'altezza. "Return To The East" è un LP che ci sentiamo di consigliare solo ai fan più nostalgici, mentre ai giovani rockers non possiamo far altro che suggerire di andare a rispolverare la discografia anni '80 del combo, in cui sono custodite le gemme che li hanno resi giustamente grandi. La speranza è quella di poter tornare ad ascoltare una nuova prova in studio dei Dokken al completo, in cui tornare a sentire il loro vero sound, ormai sepolto sotto una serie di reunion sempre più fini a se stesse.