"Whoa, let the sun beat down upon my face, stars to fill my dreams
I am a traveller of both time and space, to be where I have been
To sit with elders of the gentle race this world has seldom seen
They talk of days for which they sit and wait, all will be revealed..."
(Led Zeppelin, "Kashmir")
"Physical Graffiti", disco uno, lato B, terza e ultima traccia: eccola, la quintessenza di ciò che "Alieni Alienati", opera prima dei redivivi DR.U, vorrebbe disperatamente essere ma non è. «"Alieni Alienati" è il lungo e travagliato viaggio interiore della vittima che vuole divenire maestro per ritrovarsi libero dall'illusione della propria verità virtuale, per non essere solo un riflesso del vero sé», è la magniloquente difesa di Chris Catena, aspirante sciamano del rock moderno.
Prodotto dal due volte nominato ai Grammy Awards Joe Marlett e costellato di ospiti illustri, "Alieni Alienati" non è tuttavia la squisita mistura di liriche visionare, squarci sull'infinito, maestosi arrangiamenti e potenti ritmi ancestrali che sogna di essere; eppure non è nemmeno un prodotto completamente privo di potenzialità e di appeal radiofonico, perlomeno per coloro disposti a guardare oltre le pose intellettualoidi, la crisi mistica e le sterili disquisizioni metafisiche. Una manciata di ritornelli a presa rapidissima, infatti, quasi convincono della bontà del prodotto e della sua appetibilità per il mercato internazionale; ma poi scricchiolanti filler dal tiro più fiacco e meno aggressivo, ben arrangiati ma privi di personalità, sollevano un vespaio di dubbi, e quando il velo viene squarciato e il concept dell'album entra nel vivo non ci sono virtuosismi che tengano: la passeggiata di "Alieni Alienati" sull'orlo della monotonia e della ripetitività ha inizio, e le variazioni attorno allo stesso tema - il lungo e travagliato viaggio della vittima... - si sprecano.
Rimane un pizzico di amarezza nel bollare i DR.U, strozzati dalla loro stessa ambizione, con una sufficienza striminzita; ma quando l'emozione viene sacrificata allo sfoggio tecnico, quando ogni verso viene votato all'autoreferenzialità e il proprio riflesso allo specchio viene accantonato solo per sbirciare con sottile invidia quello di Timoria, Subsonica e Litfiba, la linea fra eccellenza e mediocrità viene varcata. "E sale il senso di distanza dalle cose vere".